Il matrimonio segreto
Sul matrimonio segreto Piero Franceschi stese due significativi pareri, a distanza di qualche mese l’uno dall’altro, nel 1790, su richiesta del Consiglio dei X. Visti i portati dell’istituto, la Repubblica aveva preferito non prendere posizione sulla questione [1] , per timore di andare ad incidere in modo sensibile sugli equilibri delle famiglie e dei ceti, ovvero, in ultima analisi, dell’intera società. Poiché un matrimonio segreto non produceva effetti giuridici, è evidente che tra i fini principali del ricorso a questo istituto stava la salvaguardia dei patrimoni familiari. Ma non solo, come osserva Franceschi, tra i motivi per sposarsi segretamente, c’erano anche il decoro delle famiglie e la necessità di sanare in qualche modo situazioni assai più che sconvenienti, senza aggiungervi il clamore di uno scandalo: in altre parole, tra questi motivi, v’era, certamente anomalo oggi, ma conforme al sentire dell’epoca, l’onore.
Da acuto osservatore dei fenomeni sociali e profondo conoscitore dei loro risvolti giuridici, anche in relazione al matrimonio segreto, Franceschi riesce a cogliere i punti nodali di una siffatta unione sul piano dei diritti civili non solo dei contraenti, ma anche dei loro familiari. Non a caso, entrambe le vicende trattate partono da azioni di natura patrimoniale e successoria e sono giuridicamente complesse, nonché difficilmente inquadrabili nelle sfere giurisdizionali ecclesiastica e secolare. Il consultore è perfettamente conscio che le controversie familiari ed i conflitti interfamiliari venivano inaspriti dalla flessibilità di questo istituto – il matrimonio segreto poteva essere reso pubblico a libera volontà con la produzione dei conseguenti effetti giuridici – flessibilità che si accordava sempre meno con l’esigenza di una certezza del diritto, la quale, per contro, era sempre più sentita. Il matrimonio segreto era comodo, e per questo non lo si affrontava direttamente a livello politico, ma aveva da molto travalicato i confini della sfera personale degli individui e stava diventando un fatto molesto nell’ottica della sensibilità sociale nuova che andava prendendo corpo. E Franceschi ne è perfettamente consapevole, quando si ferma a considerarne gli effetti quasi esplosivi in situazioni di per sé già conflittuali. Eccolo quindi consigliare al tribunale dei X l’esercizio della massima prudenza in queste vicende, che era meglio lasciare alla tradizionale capacità mediatrice delle autorità ecclesiastiche al riguardo, e di restringere il proprio intervento solo ai casi in cui si fossero riconosciute evidenti ingiustizie.
Le eredi Rocca
La vicenda si svolge a Brescia [2] : le figlie ed eredi di Giuseppe Rocca supplicavano un intervento dell’autorità secolare presso la curia vescovile di Brescia al fine di poter ottenere, dopo lunga attesa, una dichiarazione attestante il matrimonio segreto che si supponeva contratto tra Maria Pizzimenti, vedova del loro padre, ed un suo dipendente, Francesco Feriani. Per volontà testamentaria, la donna era stata nominata usufruttuaria dei beni in successione, finchè permanesse lo stato di vedovanza. Il Franceschi, dopo aver brevemente raccontato la storia dell’istituto, sottolinea come in Francia esso fosse stato proibito da molto tempo, comportando conseguentemente l’esclusione ereditaria dei figli nati da queste unioni, mentre in Italia e nella Repubblica fosse stato generalmente lasciato in mano alla Chiesa, non essendo state emanate leggi al riguardo. Spiega poi le ragioni per le quali viene contratto, poi passa a ricordare il caso di specie e sottolinea l’intervallo di tempo trascorso tra l’avvio della ricognizione sulla presunta nuova unione della vedova ed il ricorso al Consiglio delle sorelle Rocca, insinuando l’esistenza di altri motivi di lite tra loro e la donna. Conclude con un invito a mosse prudenti e dilazionando un eventuale intervento attraverso la richiesta di ulteriori carte ed informazioni, pacatamente consiglia il rinvio della questione alla saggezza del vescovo.
“Serenissimo Principe
Ill.mi ed ecc.mi sig. Capi dell’eccelso Consiglio di Dieci
1790 16 giugno
Li matrimoni segreti, detti anche di coscienza, sogliono celebrarsi o con un rescritto ottenuto nella sacra penitenziaria di Roma o con mandato concesso dall’ordinario diocesano. Li sacerdoti deputati dalla penitenziaria usano di far il registro dell’atto seguito sopra lo stesso breve, o rescritto, che presso di sé custodiscono per il segreto loro commesso. Quelli deputati dal vescovo registrano ugualmente l’atto seguito sopra il mandato che poscia restituiscono ad esso ordinario. Il motivo di concedere queste licenze, o, per dir meglio, dispense, dalle vere solennità prescritte nel Concilio di Trento e protette da molte leggi sovrane, viene dedotto dal bisogno di qualche assoluzione per delitto occulto, dall’oggetto di convertire il concubinato in matrimonio, dalla notabile differenza de’ coniugandi, dal desiderio di conservare il decoro e la pace delle famiglie, dalla supposta necessità di provvedere al buon concetto e da altri rispetti particolari de’ contraenti. Questa pratica si fa risalire dai dottori di curia e dai casisti sino al tempo del pontefice Alessandro terzo, che visse dopo la metà del secolo duodecimo, i quali pretendono di trovarne la sorgente in una sua decretale, dove egli insinuò qualche condiscendenza verso i mariti, i quali asserivano di avered elle giuste ragioni per non pubblicare i lor matrimoni. In Francia per altro furono vietati sino al grado di render i figli incapaci di successione nella loro posterità. Ma in Italia e nel veneto Dominio vennero tollerati sino al giorno presente, essendosi lasciato il governo di questo affare senza veruna legge in mano del sacerdozio. Perciò il suo destino si trova tuttavia ondeggiare negli arbitri privati, che non vengono sotto l’occhio del principe e quel legame segreto, che molto assomiglia ai matrimoni clandestini, proibiti dall’accennato Concilio, passa felicemente nell’opinione comune per materia interiore di coscienza e del solo foro dell’anima. Non può negarsi però che molti e gravi incomodi temporali non provengano agli interessi dei sudditi da uno stato simulato ed equivoco, mentre col mantello di tal segreto spesse volte si coprono, contro il buon ordine della società, eredi non conosciuti, obbligazioni dotali, poligamie simultanee, inganni decisivi nella fede dei contratti e defraudi notabili al patrimonio delle famiglie. Mons.r patriarca Bragadin, d’illustre ricordanza, penetrato dalla grandezza degli inconvenienti spirituali e civili, immaginò un salutare provvedimento nel suo editto pastorale primo settembre 1764 chiamando a sé il registro di tali matrimoni, dandovi una miglior disciplina e stabilendo che la copia possa esser data nei casi indispensabili di giustizia, ovvero ad istanza de’ medesimi contraenti. Ma qual sia la regola osservata dalle altre diocesi nella custodia di questo, che volgarmente si chiama sigillo, ci mancano i documenti.
Ora, con ricorso prodotto a questo tribunale eccelso, le figlie ed eredi beneficate dal testamento …del quondam Giuseppe Rocca di Brescia espongono la loro occorrenza di conseguire da quella curia vescovile i suffragi necessari a significare(?) il fatto della esistenza o della inesistenza del segreto matrimonio di Maria Maddalena Pizzimenti, vedova di esso testatore, con Francesco Terziari, agente del suo negozio di pellami. Rassegnano le copie delle istanze fatte e degli atti incamminati in via di contestazione giudiziaria nel foro ecclesiastico sino dall’anno 1787 e, dopo l’inazione di così lungo tempo, vorrebbero oggidì obbligata da VV.EE. la stessa curia vescovile a palesare se vi sia il creduto matrimonio, onde, sotto il presteto di un segreto non autorizzato da sacri canoni, né da leggi civili, non resti defraudata la volontà del defunto, in pregiudizio de’ suoi eredi.
Noi, per verità, non sapessimo negar al principe l’eminente diritto e l’uso dei mezzi di poter sciogliere questo incantesimo che, nell’aspetto esposto dalle femmine ricorrenti, presenta l’immagine di oppressione e di giustizia negata. Ma, considerando lo spazio di un triennio quasi consumato in silenzio da ambo le parti dopo i primi atti ed una pendenza instituita innanzi il giudice ecclesiastico, ed osservato, nella supplica al vescovo 19 luglio 1787, il cenno di diverse liti fatalmente incontrate dalle coeredi colla usufruttuaria, ci sembra indispensabile qualche miglior confronto e rischiarazione di motivi di tal inazione, prima di porre in esercizio l’autorità. Perciò, la prudenza di VV.EE. degnerà di considerare se fosse opportuno e prudente partito il rendere instrutto il pubblico rappresentante dell’emergente con la copia delle carte tutte conducenti a questo oggetto, e coll’incarico di prendere i lumi necessari alla verificazione dei fatti, e di ricercarli anche nei convenienti modi alla saviezza dello stesso prelato. Il tenore di questa rispettabile commissione o produrrà l’effetto di sciogliere le difficoltà o porgerà i fondamenti, che ora mancano, per ravvisarne tutto l’intreccio e provvedere, con più sicura base, ai passi ulteriori. Grazie”.
[1] Cfr. C. Povolo, In margine, cit., p. 299: a far emergere la rilevanza politica della questione dei matrimoni segreti fu una vicenda accaduta a metà settecento che ebbe per protagonisti due giovani vicentini, rampolli di illustri famiglie in lotta tra loro, i quali si erano uniti in matrimonio segreto a Venezia.
[2] ASVe, Consultori, f. 285, 16 giugno 1790