Lo schema che segue (necessariamente selettivo) presenta le modalità dell’amministrazione della giustizia civile e penale nell’antico stato giurisdizionale. I rettori eletti dal Maggior Consiglio veneziano (podestà e capitano nelle principali città) erano destinati ad amministrare la città in base agli statuti cittadini e alla loro gerarchia di fonti (che prevedeva il diritto comune come fonte supplettiva, oltre alle consuetudini e all’analogia).
Era il podestà ad avere essenzialmente funzioni giudiziarie. Egli giungeva in città con un seguito costituito di un numero variabile di assessori (da uno a quattro a seconda dell’importanza della città).
Gli assessori erano giuristi di formazione romanistica scelti dallo stesso rettore, ma non potevano essere della stessa città od avere relazioni parentali con famiglie del luogo. Gli assessori assumevano il nome delle magistrature locali cui erano destinati (bue, cavallo, aquila, ecc.), tranne il vicario pretorio che collaborava direttamente con lo stesso podestà.
Ad avere competenze penale era il giudice del maleficio che dirigeva l’antico ufficio del maleficio cittadino in cui operavano notai tratti dal locale collegio dei notai. Tutti assieme con il podestà gli assessori venivano definiti Corte pretoria. Era a questa corte che competeva pronunciare le sentenze penali attenendosi agli statuti e alle consuetudini cittadini e al diritto comune. Il giudice del maleficio istruiva i processi avvalendosi dei notai cittadini. Lo stesso giudice, insieme al rimanente della Corte pretoria pronunciava la sentenza. Insieme agli assessori, accompagnava il podestà anche l’importante figura del cancelliere pretorio, destinato a disbrigare le funzioni di cancelleria del podestà.
La figura del cancelliere pretorio assumerà un’importanza eccezionale nel momento in cui, con l’avviarsi della nuova giustizia punitiva, avrà il compito di coadiuvare direttamente il giudice del maleficio nell’istruzione dei processi penali (escludendo i notai locali). Ciascun assessore ricopriva pure, come si è detto, una magistratura locale che aveva competenze civile, assumendone il nome.
Il rimanente delle magistrature civili era invece ricoperto da giuristi locali (giudici pedanei) tratti dal locale collegio dei giudici. Gli appelli delle sentenze penali erano di competenza della magistratura veneziana Avogaria di comun che interveniva con le sue intromissioni sia in ciascun atto processuale (su richiesta delle parti) che nella sentenza. Le intromissioni avogaresche erano poi veicolate nell’ambito della Quarantia criminal in cui venivano discusse (e tagliate o approvate). Gli appelli dalle magistrature civili potevano essere diretti al podestà o al suo vicario, ma comportavano pure, in taluni casi, l’intervento di un’altra grande importante magistratura veneziana: gli Auditori Novi. In alcune città esistevano pure magistrature che godevano del privilegio di partecipare, insieme alla Corte pretoria, alla pronuncia delle sentenze penali. Come a Vicenza e Verona, in cui il locale Consolato era composto sia di giudici laici che da giudici togati (eletti dal Consiglio locale). Anche il Capitano era accompagnato da un cancelliere (il cancelliere prefettizio). Il capitano aveva funzioni militari e di difesa della città. In ambito giudiziario si occupava di crimini commessi da soldati.