Atti di investigazione sopra titolo d’infanticidio ad imputata opera della politicamente arrestata Giovanna Sella del fu Domenico e della vivente Domenica Marzarotto, nata ai Forni di Schio li 6 agosto 1825, nubile, villica; colla sospetta correità della pur politicamente arrestata di lei madre Domenica Marzarotto, vedova del fu Domenico Sella, con tre figlie, villica, d’anni 63 circa. Esenti da politiche censure e criminali. Descritta la prima di pessima condotta e di perdutissima fama, poco curante la seconda dei disordini della figlia, simulante ignoranza delle di lei tresche, sempre variate.
La giovane Sella, libidinossima giovane, a tropi abbraciamenti si abbandonava con quanti a lei si presentassero. Non valsero ammonizioni dello zelante parroco per ritrarla dal cattivo sentiero in cui si era posta, benchè egli le proferisse di prestarle i mezzi del vivere per distorla da quella sua vita di scandalo e di disordine.
Viene la madre di lei ritenuta per donna poco curantesi di vedere la figlia così disordinata e delle universali lagnanze, protestando ignoranza di quelle sue tresche e dello stato di gravidanza che ben da altri in lei da ultimo si rimarcava, onde ritennesi non possibile cosa che non si avvedesse di ciò che nella figlia era avvenuto, da indurre il sospetto che fossesi resa compartecipe del delitto che in quella casa si commetteva.
Era difatti questa casa composta di un locale stanza, a cui si ascende per una scala composta da otto gradini di pietra e sotto la scala piccolo luogo a tener legna, guardato da porta non avente alcun serramento e chiudentesi a solo spago.
In questa casa dimoravano la madre e la figlia elleno sole e in un sol letto riposavano, così ristretto da dover ritener unite le due riposanti, locchè giova qui tosto avvertire, per quelle deduzioni che sarà necessario di farne.
Non era la giovane straniera alli parti. Ella stessa, e la madre con lei, dichiaravano che la Giovanna da cinque anni addietro avesse figliato e la creatura spedita al pio luogo degli esposti in Vicenza.
Incolpava la giovane per autore della sua gravidanza Ulisse Delai di Pietro, ricevitore di Forni figlio, ella dice di libertini costumi che l’aveva violata, come da prima esponeva, benchè in posterior esame il padre di lui per seduttor suo ella incolpasse, come quello che, prevalendosi della di lei povertà, la inducesse alla libidine, comunque non valesse a toglierle il for virginale che dal figlio suo le venne rapito, allora che dagli studi alla casa paterna, ove ella trovavasi, si riduceva.
Intanto, da ultimo, le si sospendevano i mestrui e il ventre inturgidiva. Le vicine donne, conscie delle male tendenze di questa dissoluta giovane, già s’avvedevano della di lei gravidanza. Ed ecco come dicevasi dalla politica autorità che la madre pur era impossibile che non se ne accorgesse, ella che con la figlia in sì ristretto letto giaceva.
Ai primi del maggio decorso le scompariva la turgidezza del ventre e ben in paese si sospettava di qualche delitto, per ciocchè non erasi veduto come questo avvenisse, né creatura osservata ad allontanarsi.
Venne informata intanto la deputazione comunale che la Giovanna da 8 o 9 giorni prima avesse figliato, ma il feto non era stato da alcuno veduto, né desso esisteva in quella casa, né si avea traccia del dove lo si fosse asportato.
Ne facea perciò rapporto il 24 maggio medesimo a quella regia pretura, cui partecipavasi il concepito sospetto, ma la Giovanna, assunta nel 31 maggio stesso in esame, non essere stata incinta attestava.
Vero che s’ebbe nei precorsi mesi della gonfiezza di ventre, ma questa erale derivata per la sospensione dei mestrui che da un anno o circa soffriva per avuto riscaldo, abbenchè per due o tre volte avesse ella preso del sale che erasi procurato dalla farmacia di Arsiero, facendosi salassare dalle feste del passato Natale, consigliata dalla madre sua stessa, e da altra femina soggetta a tai sospensioni, a prendere il sale che ella poi si provvide assieme alla madre.
Anche la madre di lei la gravidanza negava, ed essere calunnie, attestava, quelle sparse voci sulla sua figlia. Da un anno avea sofferta la sospensione dei benefizi e fu per due mesi obbligata a letto, ma non ebbe che un salasso, nessuna ulterior cura e, finalmente, si rimise nel comparire dei mestrui. Ella sola ebbela ad assistere, perché ella sola con lei dimorava in quella casa. E qui, in contradizione con quanto avea la Giovanna attestato, ella stessa non volea neppure che avesse preso quel sale, che volea aver tolto per tre o quattro volte, perché anzi dessa la figlia non prendesse nemmeno acqua calda.
Ma la pretura, null’ostante tali loro dichiarazioni, assoggettava la Giovanna a perizia dei fisici, che la trovarono sortita di recente parto e già soggetta a parto anteriore. Non sapeano però determinare, come era ben ragionevole, se avesse condotto o diversamente a maturanza il parto, se o meno fosse nato vivo o morto lo stesso.
Tosto dopo la eseguita ispezione volea essere la Giovanna esaminata di nuovo e allora, dichiarando che per vergogna avesse mentita la verità, dicea come trovandosi al servizio del Pietro Delai fosse rimasta incinta di lui, già morto il figlio che riteneva autore della prima sua gravidanza.
Nel giorno 8 maggio alle tre antimeridiane erasi sgravata di una bambina nata viva e ben nutrita. L’assistette la madre. Nessuno se ne accorse perché era intenzionata di tener celata ogni cosa.
Avea ricevuti dal Delai, cui fece nota la sua gravidanza, due talleri perché spedisse il nascituro all’ospizio e nella sera del giorno stesso ella stessa e la madre sua avevano consegnata la ben complessa creaturina al cugino Bernardo Marzarotto detto Nado, perché la trasportasse involta in pannolini all’ospizio, a cui anche avessela consegnata, per quanto a lor riferiva il cugino. Nessuno aveva chiamato oltre alla madre in propria assistenza per vergogna, ma non avea per ciò voluto occultare il suo parto se avea consegnata la figlia al cugino.
Si riassumeva la madre, ma questa persisteva nelle sue prime dichiarazioni, avvertendo che la figlia avevale allora enunciato di aver discosto come avesse partorito in sua casa, ma ciò non sussisteva perché non fu gravida, potendo sostener al confronto alla figlia medesima e giurarlo ancora colle candelle accese.
Dietro la quale ostinata sua asseveranza per la terza volta riassunta, la figlia, pregando che la si ritenesse per iscusata, volea allora dir tutto che avvenne.
Essere ignara la madre sua e della gravidanza e del parto. Il fallo era tutto suo che commise. In sull’albeggiare del giorno 8 maggio, dopo molti dolori che soffrì nella notte, sgravossi di una bambina, ma questa era nata morta, e lo assicurava in coscienza.
Nessuno era presente al parto, neppure la madre, e quando questa partì per la messa, verso le 7, alzatasi e ravvolto il parto in poca paglia, lo seppellì ella stesa in quel locale terreno che superiormente si descriveva, tracciando il sito in cui l’aveva riposto, rimpetto alla porta, dove poi fu il giorno appresso rinvenuto il cadaverino, fatto intanto sorvegliar quel locale a mezzo del cursor comunale.
Eseguita la peritale medica ispezione, dietro le verificatesi pratiche fisiche, dichiararono invece i periti che il feto era nato vivo ed avea respirato, giudicando che la morte di esso fosse l’effetto di soffocazione e compressione sulle pareti toraciche.
Era il feto maturo, non avea che una lieve lesione alla regione frontale, indifferente alla morte; non allacciato il cordone, ma non esser questa causa della di esso mancanza, perciocchè non era successa l’emorogia. Alle parti invece toraciche si rilevarono i caratteri di reazione avvenuta a corpo vivo e come meglio dalla relazione che leggo.
Ma le due donne avevano già abbandonata la casa del delitto, senza lasciar traccia della presa lor direzione, siccome si narra nel rapporto di quel capo squadra.
Potutesi però rinvenire, le si arrestarono e qui di più confessava la Giovanna.
Ella tutta a sé nuovamente addossava la colpa del proprio misfatto: non averne parte la madre, né altri chiunque. Ignorava la madre pur la di lei gravidanza, ritenendo che la gonfiezza del ventre da malattia procedesse. Fu dessa bensì la madre che lavò i pannolini e le vesti che aveva pel parto lordate, ma riteneva ella che ciò credesse l’effetto delle sopraggiunte sue purghe.
Alle 3 antimeridiane (quando cioè partoriva) era in letto la madre, ma ella la fece alzare ed uscire, e appunto quando fu fuori della stanza le avvenne di partorire. Era viva la creaturina e perché non gridasse le pose tosto le dita in bocca, indi strappò il cordone ombelicale senza legarlo e lo lanciò sotto la coperta del letto. Non maltrattò in altro modo quella piccola, né sa di averla compressa in nessuna parte, quando non l’avesse fatto senza saperlo nel prenderla e gettarla sotto le coperte.
Poco dopo rientrava la madre: nulla a lei le diceva. Uscì ella di nuovo. Intanto una doglia le facea uscir la placenta. Anche questa nascose sotto le coperte, sino a che potè avere il momento di seppellire e l’una e l’altra. Alle 7 lo fece, quando la madre era uscita alla messa: raccolse tutte sue forze, discese al luogo terreno, ivi in un angolo dirimpetto la porta seppellì la bambina e poco discosto l’involucro.
La madre sua deve aver veduto il corso abbondevole delle acque, del sangue, ma per quanto ella sa non è sciente dell’accaduto, perché non ne tenne parola. Le chiese se ci fosse qualche cosa altro, ma risposto che no, più non ne parlava, né le tenne discorso del neonato.
Avvertita che non erasi rinvenuta la placenta là dove diceva di avervela collocata, ella assicurava che in quel sito ve la avea riposta, né altro ella ne sapeva.
In tutto ciò nessuno l’avea consigliata, ma a lei solo cadde il reo pensiero di così praticare per ismentir le dicerie che eransi sparse in paese, ritenendo che tutto avesse a rimanere celato.
Quanto all’autore della sua gravidanza, ella persisteva nell’indicare che fosse stato il Delai. Era la donna sua, che ei trattava quando gli aggradiva.
Rimasta incinta ne lo avvertiva. Tre mesi prima del parto le constituiva due talleri, uno per lei, l’altro pel trasporto della creatura al pio luogo, ma dessa li consumò. Pure in seguito usava di lei carnalmente e regalavala di due o tre svanzicher, raccomandandole di spedire al pio luogo il nascituro. Lo rivide otto giorni dopo il parto, le chiese se si fosse sgravata, disse che sì, ma di più non gli disse, perché eranvi più persone.
A proposito del Delai, estendeva la pretura investigante le indagini se parte alcuna potesse aver avuta in tale delitto, ma dal riscontro della politica autorità se ne toglie ogni idea per la notoria onestà di lui, se pur lo si potesse ritenere per l’autore della gravidanza, essendo che quella giovane si desse in braccio a qualunque le si presentasse.
La madre di lei, Domenica Marzarotto, persisteva anche dopo che venne arrestata nel sostenere che la figlia avea in quel giorno avuto un forte rilascio, per cui le era scomparsa la gonfiezza del ventre, che prima erasele accresciuto, cioè ella sapendo perché era stata ella stessa a lavare all’Astico le biancherie che aveva lordate. Vi andò al mezzogiorno a lavarle; era una cottola sola, perché altro non aveva imbrattato.
Ella erasi alzata dal letto alle 5 antimeridiane e rimase sino alle 7, alla qual ora andò ad ascoltare la messa, retrocedendo poi alla casa ove erasi trattenuta.
Prima del giorno era stata la figlia sorpresa da dolori, si alzò col tronco della persona, poi si coricò. Ella non l’ebbe mai ad abbandonare, non essendo mai uscita da quella stanza, né avendola fatta uscire la figlia.
Poi diceva che avea lordate anche le lenzuola ed anche due camiscie. Ella le chiese del di lei malessere e le diceva di essere addolorata la vita e la testa, ma non ne fece tal calcolo, perché ebbe anche in marzo ed anche in aprile a soffrire simili incomodi, benchè continuato abbia ne’suoi lavori, senza duopo di ricorrere al medico.
In quel giorno ella fu verso al mezzo dì nel sottoscala a prender una fascina, ma ivi nulla ella vide. Quanto al Delai la figlia da 5 anni addietro era rimasta incinta del figlio di lui ora defonto; potrebbe aver avuto anche la pratica col padre suo, ma ella ignoravalo. Talvolta le mandò della farina, tal altra le diede anco qualche dinaro, ma sempre a compenso delle opere che la figlia prestavagli.
Rimarcatole come avesse il mezzo del vivere, dicea che si procurava la sussistenza con far tela, e rilevatole come potesse in tal forma procacciarsi tal sussistenza e che altri mezzi doveva avere per vivere, ella rispondeva: “Signor benedetto, Sant’Antonio, cossa vorla che diga mi”.
Fu vista appunto la madre della Sella recare all’Astico degli effetti in un cesto, cioè sottane, lenzuoli, camiscie ed altro, ma fu veduta andarsi non al mezzo giorno, ma alle 9 di mattino, come lo determinava Angela Lorenzato, che ben riteneva che quell’imbratto dovesse più probabilmente essere stato causato da un parto, più che da un rilascio.
Avvenne intanto che verso le 3 pomeridiane del dì 26 gennaio certa Rosa Cecchinati e Bortola Sartori presentassero alla deputazione comunale un involucro che avessero casualmente rinvenuto a piedi del riparo superiore dell’Astico, esternando il sospetto che potesse essere quello che avesse involto la creaturina partorita dalla Sella.
Nell’enunciar questo fatto, avvisava la deputazione comunale che fatta osservare quella materia a certa Lucia Delai, donna solita ad assistere i parti, avesse dessa assicurato che fosse in effetto una placenta.
Raccolta quella materia in un vaso di terra, venne il dì 30 giugno fatta ispezionare dai fisici, che non poterono stabilire se fosse una placenta, atteso l’avvanzato grado di putrefazione, per cui fu poi sepolta, ma dissero che vi potesse appartenere, come pure potesse appartener a qualche altra parte animale, come sarebbe un’armenta e come dal protocollo che leggo.
La Cecchinato e la Sartori assicurano sul fatto rinvenimento nel sito appunto dove quest’ultima intese che la vecchia Sella avesse lavati gli effeti de’quali si disse, e tutte due alla forma lo ritennero per una così detta seconda e il giudizio pure intesero della pratica levatrice Delai, che però non fu assunta.
Tutte e due si convinsero che quell’involucro dovesse appartenere al parto di cui si tratta, perché era certo che dal maggio in allora nessuna altra donna aveva in quel paese figliato.
Sentita, dietro tale ritrovamento, la Domenica Marzarotto indicava ella il sito dove era stata a lavare gli effetti, che corrisponderebbe al sito dell’involucro ultimamente reperito, ma dessa richiesta se tra quegli effetti vi fosse qualcosa, rispondeva di ben capire che qualche cosa vi sarà stata, ma che poteva giurare di non aver nulla vedut. Ed escussa a spiegarsi che cosa intendesse che fra quegli effetti pur si rinvenisse, non altro persistea nel rispondere se non che non potea dirlo, perché non aveva veduto, sfuggendo di così manifestare ciò che facea ella intendere di comprendere.
Resale ostensibile la reperita materia, in queste espressioni sortiva: “Adesso vedo pur troppo e adesso vedo che mia figlia Giovanna abbia partorito, perché questo deve esser quello che conteneva la creatura nata”, ma del resto ella nulla aveva veduto, nulla ella pur ne sapeva.
E la Giovanna persisteva nel dire di aver seppellita la placenta nel luogo stesso ove avea sepolto la creaturina; e quando le si rese ostensibile quella materia e le si rimarcava che la si era rinvenuta nell’Astico, soggiungeva che ella la avea pur seppellita la placenta dappresso alla bambina, e se ivi non fu rinvenuta o fu trovata nell’Astico dovea esservi stata da qualchedun trasportata, se quella era la placenta da lei seppellita.
Sopra tali risultanze assoggetto il seguente
Voto
Il fatto del rinvenuto cadaverino sepolto là nel locale terreno della casa abitata dalla dissoluta giovane Sella, combinato col fatto che venne dai fisici rilevato del recente parto di lei, somministra la prova che la Giovanna Sella figliasse e fosse suo parto la diseppelita bambina.
Ma questa era sortita dall’alvo materno matura, completa, vitale. Tale è il giudizio dei fisici dopo gli esperimenti che praticarono su quel cadaverino. La madre stessa che ammise aver colà sepolta la propria creatura, ella medesima ammette che sortisse viva, matura e completa.
La sua dichiarazione è quindi consona al giudizio degli esperti e questa va a stabilire che quello fosse il parto che avea essa già sostenuto.
Mancò la bambina, al giudicar degli esperti, per soffocazione e compressione delle pareti toraciche.
La snaturata madre, in corrispondenza a tale sentenzia dei periti confessa alla per fine di averla ella presa con le proprie dita che nell’infantile bocca introduceva, ancor soffocata per toglierle così quel vagito, con cui s’introduceva nel cammin della vita.
Se non confessa di averla ancora compressa alle pareti toraciche, non lo diniega, anzi ammette che ciò poteva succedere nel gittarla che fece ben tosto sotto le coltri. Ad ogni modo ella confessa di aver così operato per toglier il testimonio della sua precorsa gravidanza, pensando di far tacere le pubbliche voci e rimanersene occulta.
La sua confessione per ciò si estende all’aver voluto dar morte all’innocente effetto di suoi dissipati costumi.
Trattasi quindi del delitto d’infanticidio, che dal paragrafo 122 si contempla2, e la confessione di lei ne la indizia legalmente, perché le si debba segnare per tanto delitto l’accusa.
Più difficile si presenta il deliberar sul conto della Domenica Marzarotto Sella, madre a quella colpevole. Ma la Marzarotto non potrebbe essere, a mio avviso, ritenuta responsabile se non in quanto vi sussistessero fondamenti a risguardarla correa di quel delitto, non altrimenti si potrebbe contro di essa procedere o per truffa mediante falsa deposizione o per aiuto prestato a delinquenti.
La sua deposizione infatti sta in aperta collisione con ciò stesso che confessava la figlia in circostanze le più interessanti, e sta in opposizione alle altre risultanze degli atti, ma dessa si rendea menzognera perché compariva colpevole e cercava sottrarsi all’accusa che s’avvedeva rinfacciarlesi. Volea discolparsi e fu falsa nella discolpa. Non commise nella sua menzogna un delitto perché sottrarsi cercava dagli effetti di un’accusa divaga (?).
Perché correa del processato delitto risguardare la si potesse, converrebbe in senso al paragrafo 53, che dessa avesse avuto con la figlia una precedente intelligenza per dar morte a quell’innocente, sia che imaginato avesse il delitto, sia che aperto ne avesse l’adito all’esecuzione col consigliarnelo, sia che contribuito ne avesse l’esperimento col renderne sicuro l’effetto, o prestatasi fosse colla propria assistenza in aiuto alla colpevole, sempre però con previa intelligenza di essa prima dell’esecuzione del fatto.
Dove pure prestata si fosse a nasconder le traccie, ad assister la colpevole dopo il delitto, senza tale precedente intelligenza, ella si sarebbe potuto rendere responsabile non più di correità ma di altro delitto, in senso al paragrafo 6 della legge imperante4 e sarebbe il delitto dal paragrafo 193 contemplato5, dell’aiuto prestato cioè ai delinquenti per occultazione degl’indizi e nascondimento dell’autore del misfatto.
Vero che dessa dovea essersi avveduta della gravidanza della figlia, se tutti in paese se ne erano avvisati, ella che riposava con lei in sì ristretto giacciglio, ella che ne dovea sospettare se già sapea che altra volta era incorsa in simile errore e ne conosceva il dissipato carattere, di cui forse ne approfittava per ritrarne il vergognoso mezzo di sussistenza.
Vero che dessa vorrebbe essersi trovata sino alle 5 di quel mattino in letto assieme alla figlia, la quale vorrebbe aver avuto il parto alle 3, cioè quando seco lei sarebbe giaciuta la madre e quindi presente al parto medesimo. Ma tale sua dichiarazione, in collisione con quella della figlia, non anco prova che cooperasse al delitto e potea essersi fatta presente in quell’ora per allontanar dalla figlia il sospetto del parto e per conseguente ancora del delitto di cui veniva imputata.
Vero che dessa recava a lavar i pannolini e incerta si dimostra nell’enunciarne la quantità e le lordure, e pare che invece abbia anzi gittato nell’Astico l’involucro che dovea coprire l’innocente che erasi seppellita cadavere; ma tutto ciò sarebbe successivo all’esecuzione del fatto, non somministrerebbe un fondamento che al fatto medesimo concorresse colla malvaggia opera sua.
Forse era assonnata la donna quando la figlia ebbe il parto e consumava il delitto. Forse se ne avvide in appresso che compiuto era il misfatto, e fu allora che prestossi per salvare la figlia dagli effetti della snaturata sua azione.
Se alt[r]i ciò praticato avesse, non avvi dubbio che chiara ne risulterebbe la colpa, ma la legge salva la madre se cerca di occultare il delitto della sua figlia e la vuole nascondere al braccio della punitiva giustizia, perché la legge rispetta gli ordini della natura ed à riguardo ai moti del sangue che la pessima figlia disconosceva riguardo alla stessa sua prole.
Non prevedibile il fatto per aiuto prestato a delinquenti, in base al paragrafo 195, manca un giuridico fondamento per additarle il titolo di correità nel delitto.6
Anzi, se dalla confessione della figlia si desume a di lei pregiudizio una ragione per ritenerla responsabile del delitto d’infanticidio, è pur forza accogliere la medesima sua confessione anche nella parte che sopra sé tutta ricoglie la colpa di quel misfatto, volendo esonerarne la madre.
Ciò tutto considerato, propongo che sia ritenuto sussistente il fatto della morte della bambina nata viva di Giovanna Sella la mattina del 8 maggio decorso.
Che questo fatto sia classificato a delitto d’infanticidio.
Che sia aperta la speciale inquisizione al confronto di Giovanna Sella, madre dell’illegittima prole, come legalmente indiziata di tale delitto, confermato il di lei politico arresto e richiamata a queste dalle carceri della pretura di Schio.
Che al confronto di Domenica Marzarotto vedova Sella si desista da ogni ulteriore investigazione criminale, sia per delitto di truffa mediante falsa deposizione in giudizio per mancanza di estremi, sia per correità nel delitto di quest’infanticidio per mancanza d’indizi legali, sia per aiuto prestato a delinquenti per non esser procedibile il fatto ad essa nei rapporti di madre, ordinatane la immediata sua scarcerazione alla ridetta pretura di Schio.
Li 6 luglio 1849
Fanzago
Conchiuso ad unanimia pell’aprimento della speciale inquisizione al confronto di Giovanna Sella per delitto d’infanticidio.
Conchiuso per maiora di sospendere per ora sul conto di Domenica Marzarotto Sella ogni deliberazione, ponendola in provvisoria libertà sino a maggiore sviluppo degli atti.
Raccolta la votazione dal consigliere aulico presidente, il consigliere Marchesini conveniva col voto del relatore rispetto a Giovanna Sella, quanto poi a Domenica Marzaroto Sella osserva che non trovando ancora abbastanza chiari e determinati indizi di colpa, subordinatamente opinava perciò di sospendere per ora sul di lei conto ogni deliberazione, ponendola in provvisoria libertà, potendo in seguito alla procedura virile sorgere qualche argomento più vitale per addebitarle una colpa delittuosa.
I giudici sussidiari Ruggieri ed Alverà si uniformarono pure al voto del relatore sul conto di Giovanna Sella e, rispetto a Domenica Marzarotto Sella, poi convennero con quello del consigliere preopinante Marchesini.
Il giudice sussidiario Bertagnoni qualificava il fatto rispetto alla madre del bambino Giovanna Sella per delitto d’infanticidio e rispetto ai correi e complici per delitto di omicidio, mentre non è che in solo riguardo alla madre che l’omicidio assume la qualifica particolare d’infanticidio.
Ciò posto riteneva sussistente l’indizio legale a carico della prevenuta Giovana Sella, perché quantunque non facesse gran calcolo della di lei confessione, così contradditoria alle precedenti sue deposizioni ed in parte anche alle risultanze processuali, pure constando pel giudizio dei medici che il bambino nacque vivo e che morì per soffocazione, conveniva di segnare in di lei confronto l’accusa in titolo d’infanticidio.
Ravvisava egualmente l’indizio legale di colpa a carico di Domenica Marzaroto, vedendola da un tale complesso d’indizi remoti bensì, ma che a termini del paragrafo 269, fanno urgentemente presumere il di lei intervento nel delitto7, mentre non può aver ignorato che la figlia fosse incinta, né può credersi che essa non fosse presente al parto.
E le sue deposizioni dissonanti dalle risultanze degli atti e manifestamente false, il rinvenimento della ritenuta placenta presso il luogo dove ella stessa ammette di essersi recata a lavare il pannolino, unito tutto ciò alla di lei mala fama ed alla sua conivenza alla disonesta condotta della figlia, faceva sì che il votante si determinasse ad aprire l’inquisizione anche in confronto di lei in titolo di correità o complicità nel delitto di omicidio.
E per tale votazione si ebbero i conchiusi sopra accennati.
Atti d’inquisizione ultimata in titolo d’infanticidio avvenuto la mattina del 8 maggio decorso ad imputata opera dell’arrestata Giovanna Sella del fu Domenico e della vivente Domenica Marzarotto, nubile, villica, nata ai Forni di Schio li 6 agosto 1825, colla sospetta correità della di essa madre Domenica Marzarotto, vedova del fu Domenico Sella, con tre figlie, d’anni 63, esenti da fiscali censure.
Descitta la prima di pessima condotta e di perdutissima fama, poco curante la seconda dei disordini della figlia, simulante ignoranza delle di essa tresche sempre variate.
Costituita l’arrestata il 12 luglio decorso nell’inquisizione chiusa il giorno 9 andante, di buona condotta in carcere, tranquilla inanzi al consesso, spiegante indole fredda e di trascurata educazione. Dichiarata atta agl’inasprimenti di legge.
Leggo al consiglio il precedente referato 6 luglio decorso, in cui esponevo la storia di questo orrendo misfatto e sopra cui fu ad unanimità di voti aperta la speciale inquisizione per titolo d’infanticidio al confronto della Giovanna Sella, rilasciata per maggioranza di suffragi la di essa madre Domenica Marzarotto in provvisoria libertà sino a maggiore sviluppo degli atti.
Sottoposta l’inquisita al costituto sommario, replicava la sua confessione, quale da ultimo erasi risoluta di fare nel riservato suo esame, con qualche maggior dettaglio di circostanze.
Partorì la creatura alle 3 verso le 4 della mattina, quando la madre erasi alzata dal letto ed era sortita dalla stanza, come ella l’avea fatta levare, sentendo il vicino suo parto che alla madre occultava.
Era viva la partorita bambina, concetta d’illecito amore con Pietro Delai. Il diavolo la tentò e tosto uscita dall’alvo materno la soffocò, mettendole un dito nella bocca per farla morire.
Altre sevizie non praticò sul di lei corpicino e se la si rinvenne compressa nel petto, ciò poteva essere avvenuto nel mentre gittolla sotto le coltri. Ivi la tenne sino alle sette assieme alla poi sortita placenta, al qual punto, partita la madre per alla messa, da sé seppelliva la creaturina nel sottoscala e a poca distanza vi seppelliva ancor la placenta.
Ad ogni momento ricordava quel suo fallo, non avendo neppur battezzata quell’innocente.
Nessuno fu a parte del suo delitto che ella sola commise. La madre ignorava la di lei gravidanza e se fu a lavare li pannolini imbrattati di sangue, ella dovè ritenere che le fossero sopraggiunte le già ritardate sue mestruazioni.
L’amatore di lei, il Pietro Delai, ben sapeva di sua gravidanza, ma desso tante volte le avea ricordato di dover spedire la creatura che fosse per nascer al luogo pio destinato ad accogliere i parti degl’illeciti abbracciamenti, ed anzi le avea somministrato il dinaro per farlo.
Vedutolo una settimana appresso, passando ella per alla volta della di lui abitazione, le richiese se avesse partorito, ma di più non indicavagli ella se non che già essersi disgravata, facendo il motto di affermazione alla relativa sua inchiesta.
Richiamata anzi ad essere più sincera sulla circostanza della sepolta placenta, perché doveasi ritenere che non altrimenti sepolta ella nel sottoscala l’avesse, ma rinvenuta la si fosse in appresso verso il sito ove la madre sua aveva mondate le robbe degli imbratti di sangue.
Ma dessa ancor sosteneva che la placenta seppellita ivi in quel sottoscala l’avesse, una pertica circa in distanza dalla creatura. Ella avea veduta la materia che dicevasi rinvenuta lungo l’Astico: sarà stata la placenta e sarà stata quella che essa ebbe ad espellere dall’alvo: la madre ciò far non poteva, perché ignara del fatto.
E come la si rifletteva che ciò per chiunque ne rendevasi impossibile di eseguire che avesse ignorato del parto, che essa voleva aver tenuto occulto, ella soggiungeva che forse taluno sul sospetto insorto che avesse ella partorito, trovando per avventura il sito ove l’aveva sepolta, ne l’avesse trasportata ed ivi gietata ove fu rinvenuta, non sapendo poi sospettare chi ciò potesse aver operato.
Quale sua insistente assicuranza di aver ivi nel sottoscala sepolta la propria placenta, suggeriva di far eseguire un giudizial sopraluogo ad esperire se il terreno si trovasse smosso in alcun altro sito, oltre lì dove si rinvenne il cadaverino dell’uccisa bambina, coll’intervento di chi aveva verificata la prima ispezione, ma da tale operazione rimase per assoluto escluso che ivi si fosse quella placenta sepolta, perché il terreno non venne smosso assolutamente da altro sito che dove si rinvenne quel corpicino della soffocata bambina.
Era necessario ancora di meglio stabilire il sito dove le donne ritrovatrici avevano discoperto quella materia e se questa veramente fosse stata una placenta, e in qualche modo ancor statuire che la si dovesse ritenere per quella del parto di essa inquisita.
Se ne tracciava l’operazione alla regia pretura e, fatte intervenire all’intrapreso sopraluogo le due femine discopritrici Rosa Cecchinato e Bortola Sartori, ebbesi a stabilire che dalla casa della Sella al sito ove la Marzarotto aveva lavati i panni v’era la distanza di passi 75 e che la distanza dalla casa passa a quel sito, ove fu rinvenuta quella materia, era di passi 114.
Che il sito ove la madre avea lavati li panni era a piedi di un riparo di pietre a sostegno delle fiumane, detto il riparo maggiore e superiore; e il sito ove fu ritrovata la materia era a piedi di un secondo riparo, inferiormente posto a quel primo, e come dal tipo visuale che esibisco al consiglio, che a buon fine fu eretto dall’incaricata pretura.
Quanto alla materia rinvenuta e che si calcolò essere una placenta, fu per tale poi stabilita dagli ordinari esami.
La levatrice Lucia Delai, che giorni prima che i fisici ispezionanti avean osservata quella materia, dessa comunque putrefatta già fosse, vi aveva osservato un pezzetto di funicolo ombellicale della lunghezza di 4 oncie e da ciò stesso e dalla sua forma circolare, per la prattica che essa professava di avere di simile cose, la giudicava senza dubbio che fosse una placenta. E quel pezzetto di funicolo lo osservarono ancora le due scopritrici, che parimenti per una placenta giudicarono quella materia.
E i fisici che, stante la maggiormente accresciuta putrefazione, non avevano dianzi su quella materia potuto decidersi, giudicarono che ricevuta la dalle donne osservata esistenza di quel pezzetto di funicolo ombelicale, doveano indubbiamnete classificare quel corpo dubbio di natura per una placenta e come dal protocollo che leggo.
E che fosse quella la placenta che si rintracciava del parto per cui si procede, pare sufficientemente ancor stabilito e del suo ritrovo in non sì gran distanza dalla casa della partoriente, e dalla concorde dichiarazione della levatrice e della Cecchinato e Sartori, che nel maggio e nel giugno nessun altra femina avea, a lor cognizione, figliato; circostanza questa anche ravvalorata dalla attestazione politica dietro le indagini dalla medesima praticate.
Ciò tutto un maggior sospetto doveva ingenerare a carico della madre dell’arrestata, la connivente sui disordini della figlia, se quella placenta era stata rinvenuta sulla direzione e là lungo il torrente ove quella sciagurata madre avea lavati i panni dalla figlia imbrattati di sangue.
Fu quindi escussa energicamente l’inquisita che poco sincera si dimostrava nel voler aver essa sepolta la placenta in quel sottoscala ove non erasi altrimenti trovato smosso il terreno, e mentre dovea ritenersi che là la si fosse gittata, ove la si era poi rinvenuta; e con tutta la probabilità dalla madre di lei, che poco stante vi avea lavati gli imbratti.
Ma dessa volea pur sostenere, fosse comunque stato ritrovato non smosso il terreno, di aver sepolta nel sottoscala la placenta; essere stata ignara la madre sul parto avvenuto; averle dato ad intendere che quel sangue e quegli imbratti fossero l’effetto delli sorvenuteli mestrui; qualcheduno aver potuto aver rinvenuto e trasportato ivi quella placenta; ella avea confessato il delitto, non potea permutare il deposto o diversamente manifestar l’avvenuto.
Né valse a rimoverla da tale sua costante dichiarazione il rifletterle la inverosimiglianza che alcuno potesse aver trasportato quella placenta, se dessa non erasi data al partito di manifestare il suo parto e il sito ove avea sotterrato il feto che quando venne assunta in esame, né le discordanze fra lei e la madre sua: allontanamento dalla stanza di questa, mentre volendo dessa aver partorito dalle 3 alle 4 del mattino dovea essersi la madre tuttavia ritrovata a letto, ella che dicea di esservi seco rimasta sino alle 5, né di essere partita di casa che alle 7 per la messa; che poi verso le due prima di giorno, al dir della madre, sarebbesi questa accorta che, postasi seduta sul letto, ricercava a lei che facesse ed essa le rispondesse che rintracciava una cottola perché le fossero sopraggiunte le mestruazioni, onde dovea aver allor partorito.
A tali cose ella, la inquisita, ammetteva che benissimo la madre ricercato le avesse cosa essa altro rintracciasse, ma che a lei allor soggiungesse di cercare la cottola, non altrimenti perché le fossero sorgiunti li mestrui, ma che temeva che le soprarrivassero, andando ingannata la madre se diversamente affermasse ed esser anzi stato quel punto che l’avea fatta levar dal letto, dopo di che, partita la madre, erasi sgravata dal parto che le teneva celato.
Se diversamente la madre avea enunciato dell’ora, ciò dovette dipendere perché in casa non aveano orologi da precisare le ore, ma quanto avvenne veramente ella avea già confessato.
Le si disse essere già coll’ultime informazioni processuali e colla rinovellata perizia stabilito che la rinvenuta materia fosse una placenta e le cose tutte dimostrare che fosse quella del parto suo, ed ella rispondeva che bene sarà stata la placenta di lei, ma che ella l’aveva in quel sottoscala pur seppellita.
Le fu rimarcato ancora, colla scorta della primitiva ispezione, esservi grave fondamento di ritenere che avesse poi anche compressa la creatura nelle parti toraciche, come fu rilevato che compressa si fosse, ma dessa si riteneva nel dir che l’avea bensì uccisa, ma col soffocarla ponendole il dito entro la bocca; poter esser rimasta compressa da che l’avea riposta e ritenuta sotto le coltri.
E fattole rimarcare l’eccesso del suo delitto ella se ne protestava pentita ed avea già dichiarato sin da principio, come superiormente avvertivasi, che ad ogni momento ricordava il suo fallo.
Fu anche fatto assumere quel Pietro Delai, che ella per l’autore della sua gravidanza incolpava, ma da cui anzi avrebbe avuto i ricordi e li mezzi per spedire al pio luogo la neonata creatura.
Ei non voleva già esser l’autor di quella sua gravidanza, perché la giovane si abbandonava a più illeciti amori, però egli l’ebbe a carnalmente più volte a trattare, e prima, e durante la gravidanza. Non si riteneva l’autore quindi della medesima, né potrebbesi ciò determinare per alcun modo. Ei la sovveniva, le avea dato un tallero ed altro le avea rilasciato di prediali che dovea corrispondere, all’effetto che se ne giovasse nella circostanza del parto.
Dopo di questo la rivide, ma non le richiese se partorito ella avesse. E quanto alla madre egli pur riteneva che avveduta si fosse della gravidanza della figlia e ne fosse consapevole, ma nol poteva assicurar perché con esso lei non ne aveva tenuto parola, né la figlia a lui palesato di avernela comunicata alla madre.
Dalle quali cose si prese argomento per rinfacciare all’inquisita il non veritiero in tutto suo proprio deponere e come non avesse movente alcun al delitto, perché né la vergogna potevala indurre a commetterlo se, perdutissima di costumi, avea altra volta figliato e se poi anche le si era provisto il mezzo per sottrarre la figlia alla pubblica conoscenza collo spedirla al destinato stabilimento.
Comprendeva ella il suo fallo, ma il Delai fu il solo che la rese incinta; a lui disse del parto avuto quando lo vide, senza però palesargli il commesso delitto, in cui nessun altro ebbe parte qualsiasi.
Così chiudevasi la procedura, sulla quale assoggettasi il seguente
Voto
Sulla sussistenza e delittuosità del fatto nulla più a dirsi dopo la precedente deliberazione, con la quale ebbesi a classificare lo stesso per delitto d’infanticidio ai rapporti della madre che ne era imputata, Giovanna Sella.
Dessa appunto ne risulta colpevole per la ripetuta sua medesima confessione, corrispondente nell’essenzialità del delitto alle rilevate processuali emergenze, posciacchè ella stessa confessa di aver soffocato la figlia per torla ai viventi, dopo che avea respirato il primo alito della vita e di averla sepolta colà dove fu ancor fu rinvenuta già fatto cadaverino, ma che ai fisici esperimenti rispondeva di aver un istante respirate le aure di vita.
Colpevole la sciagurata madre va dessa soggetta alla sanzione della legge, che trattandosi d’illegittimo parto, la condanna dettermina da 10 a 20 anni di duro carcere per la punizione di cotali misfatti, ai riguardi sol della madre.
Altre legislazioni, e fra queste l’italico cessato Codice, all’articolo 300 risguardante l’infanticidio siccome un atto di atroce barbarie, punivalo al pari dell’omicidio qualunque e nella madre pur anco, perché superar doveva nel commetterlo un sentimento sì vivo quale era la tenerezza di madre e sopra un tenero infante che richiamar doveva in ognuno e più nella madre gl’impulsi della compassione e dell’amore.
Ma l’imperante nostro Codice, colla più profonda filosofia le varie posizioni dell’uomo considerando, se con debita pena anche nella madre un tale delitto punisce, ne rattempera il rigore, perché ben si avvisa che per superare quel forte impulso che natura imprimeva in esso lei per la sua prole, dovea esser anco mossa da violenta febbre morale che l’impulso naturale di amore o equiparava o vinceva.
Perciò col perpetuo carcere puniva l’infanticidio nella madre se il parto era legitimo, perché meno cause o meno gravi potevano indurre una simile madre nel delitto; col carcere duro da 10 a 20 anni se il parto era illegittimo, perché alle cause che indur potevano una madre a dar morte alla propria prole, se pure legitima, altre ancora se ne potevano aggiungere e gravissime che al delitto quasi trascinare una infelice madre potesse.
Tra le quali cause non è certo l’ultima e forse la più vigorosa quella della feminile vergogna, tanto possente in una donna che persino ne la determina ad inveire contro se stessa per togliersi al rossore del vedersi disonorata nel pubblico.
Se quindi cotali cause impellenti a cotale delitto si consideravano già dalla legge per mitigarne la pena, non sarebbero più in massima da valutarsi perché valutate una volta dalla legge medesima nel prescriverne la misura, lasciato solo al prudente criterio del giudice per determinarne la proporzione tra i frapposti termini, a seconda delle peculiari circostanze che ogni caso potesser poscia esibire.
E dell’attuale parlando, con tale orribile aspetto mi si presenta il commesso delitto che giudicherei meritevole questa giovane sciagurata del massimo della pena.
Non ella esser mossa poteva da femminile vergogna a commetterlo. Abbandonatasi alle turpezze della vita la più dissoluta, non era la incauta donzella che, tradita da infedele amante, non vedesse che il suo disonore, nell’abbandono di questo che la avea resa madre perché troppo ne fosse invaghita.
Giunta oltre gli anni 23 di età, aveva il naturale sviluppo a tutta poter conoscere l’orrendezza del suo misfatto.
Già altra volta madre, ben consoceva le pratiche per sottrarsi ancora a quel qualunque sentimento di rossore che le fosse potuto ancor rimanere, se alcuno ne poteva rimanere in una giovane di sì perduti costumi.
Lungi dall’essere eccitata da alcuno al delitto, quegli medesimo che ella voleva autore di sua gravidanza, quegli più volte le ricordava il dovere di salvare la prole e di rimetterla al pio stabilimento destinato ad accogliere i frutti dell’inganno e della seduzione. Ella ne accettava anco il mezzo nel contribuitole denaro per farlo.
Fatti dunque superare la Sella i riguardi naturali nel commettere il suo delitto, né scuse aveva per lasciarsi allucinar nel commetterlo.
Invece la snaturata, con le stesse sue mani, tosto sortita dall’alvo la fresca e vegeta figlia, la privò della vita che allora allora le dava e sopprimeva colla vita di lei quei primi vagiti, coi quali enunciava la propria esistenza.
Ella, forse, di più la comprimeva nel petto, ma se pur nol compresse, non rabbrividì di tener la sua vittima presso di sé per più di tre ore sotto le coltri, né in tutto questo tempo si lasciò vincere da affetto di madre per palesare alla propria il commesso suo fallo.
Ella potè aver la terribile risoluzione di ancor darvi sepoltura colle proprie sue mani, sotterrando quel corpicino che avrebbe dovuto coltivare e affettuosamente difendere.
Tale è questa orribile circostanza che rabbrividito rifugge il pensiero di soffermarvisi e che sì grave all’occhio del giudice ne fa comparire il misfatto.
Se non che dessa si ridusse alla per fine di confessarlo e la confessione è pur segno che non tutto il cuore del delinquente è perverso e che pur è capace di pentimento. Da qui quell’incertezza di palesar dapprima, ma quella risoluzione quasi immediata di tutto aprire al giudice la storia del fallo suo.
Bilanciate perciò le circostanze che aggravano la di lei condizione.
Fatto riflesso a quella sua confessione, all’esser questo il primo delitto da essa commesso, alla trascurata sua educazione, avendo anche la madre sua stessa, troppo a suo danno connivente o paziente, a sopportare le vituperose sue tresche, la troverei meritevole di un qualche riguardo per non infliggerle l’estremo della pena, che sarebbesi, d’altra parte, coll’atrocità del fatto pur meritata.
Quanto alla madre di lei Domenica Marzarotto Sella, per la quale si volle dalla maggioranza dei consedenti tenere in sospeso alla prima deliberazione la relativa decisione sino a maggiore sviluppo degli atti, io non posso che riportarmi a quanto allora ne dissi, perché le nuove pratiche non mi farebbero permutar di avviso.
Considerato il fatto sotto ogni aspetto, resta qual era nei riguardi della truffa per falsa deposizione in giudizio. Non potrebbesi quindi considerarlo, dietro le nuove pratiche, che sotto l’aspetto del delitto di correità o di aiuto prestato a delinquenti.
Dissi poi correità in quel delitto d’infanticidio, perché così erasi classificato lo stesso ai riguardi della madre, che se ne era legalmente trovata indiziata, e quindi col parlare di correità mi avvisava di riferire la nomenclatura del titolo cui si sarebbe associata, non per classificarlo già per infanticidio ai personali di essa rapporti, giacchè io stesso porto opinione che quella minore qualifica non si addica che per la madre, assumendo per ogni altro che vi avesse avuto parte il titolo di omicidio, sulla lettura delli combinati paragrafi 117, 122.8
Ma anche le nuove risultanze non esibirebbero indizi a carico della Marzarotto per la correità surricordata. Si avrebbero, è vero, i sospetti a di lei pregiudizio per ciò che avesse gittata la placenta là dove fu rinvenuta, essendosi abbastanza ultimamente stabilito che quella materia dovesse essere e fosse una placenta e tutta la ragione sussistendovi per ritenere che fosse9
Del parto che si discorre e l’essere appunto stata rinvenuta verso il sito ove quella donna erasi recata a mondar li panni, fa ritenere che dessa colà la riportasse, non comparendo la figlia sincera nel volernela aver sepellita poco distante dalla bambina in quel sottoscala, perché riconvinta nella sua asseveranza dal fatto giudizialmente rilevato del non ismosso terreno in quel luogo.
Ma tutto ciò non rifletterebbe ad una previa intelligenza che avesse ella avuto con la figlia per dar morte alla bambina, onde risguardanela in senso giuridico per correa e mirarebbe invece ad atti posteriori al delitto medesimo, che potevano esser intrapresi anche fuori della compartecipazione del fatto.
E un maggior sospetto indurrebbe per considerarla responsabile del delitto di aiuto prestato a delinquenti, se la legge al paragrafo 195 non ne proibisce la procedura al confronto dei genitori per l’occultazione del fallo dei propri figli, onde le nuove pratiche a nulla più contano che ne contasse la presunzion precedente.
Dietro le quali considerazioni propongo che Giovanna Sella sia dichiarata colpevole dell’imputatole delitto d’infanticidio e come tale condannata ad anni sedici di duro carcere da espiarsi nella casa di forza in Padova,10 nel pagamento delle spese processuali ed alimentarie e nella tassa di fiorini 12 per la sentenza, coi riguardi del paragrafo 537 del Codice penale11, omesso di pronunciare sul danno, perché non avvenuto dal delitto.
Assoggettata cogli atti e quanto di metodo la sentenza prima della sua pubblicazione all’imperial regia sezione d’appello per la sua decisione, a cui sarà dato corso al suo giungere.
Conchiuso per dirempta paria di ridurre la pena ad anni 12
Che per interna deliberazione si desista al confronto di Domenica Marzarotto vedova Sella da ogni ulteriore investigazione criminale, sia per delitto di truffa mediante falsa deposizione in giudizio per mancanza di estremi, sia per correità nel delitto di quest’infanticidio, classificato in di lei riguardi per omicidio per mancanza d’indizi legali; sia per aiuto prestato a delinquenti, per non esser procedibile il fatto nei rapporti di madre.
Li 10 agosto 1849
Fanzago
Conchiuso ad unanimia
Votazione sulla pena
Il consigliere Marchesini, nel tempo stesso che faceva riflesso alla somma gravità del fatto, vedeva nella colpevole una donna che colla confessione mostrava un pentimento e limitava quindi la pena agli anni dodici.
Il giudice sussidiario Ruggieri, pei motivi del relatore stava pegli anni sedici.
Il giudice sussidiario Meneghini si unì invece al preopinante Marchesini, a merito appunto della calcolata confessione.
E di qui, insorta una parità di voti, il signor consiglier aulico presidente la volse accedendo ai voti pegl’anni 12, come pena più mite, e facendo riflesso che trattasi di un parto illegittimo, che insorta appena nella colpevole la malvagia idea, troppo facile le tornava l’esecuzione per aver tempo ad utile pentimento. Che tal pentimento lo dimostrò colla sua confessione, la quale deve calcolarsi molto, perché senza la medesima sarebbe rimasto del dubbio sulla vera autrice del delitto; e che anco cogli anni 12 si va a sorpassare il grado di pena più mite, cioè gli anni 10, riflettendo così alla gravezza del fatto.
Dal premesso ne venne il sopra annotato conchiuso.
Proposto il processo costruito al confronto dell’arrestata Giovanna Sella, imputata del delitto d’infanticidio, costituita la prima volta il 12 luglio prossimo passato, l’ultima il 9 corrente agosto, vista la consultiva sentenza 10 agosto 1849, numero 1994 dell’imperial regio tribunale provinciale in Vicenza, colla quale, ritenuta colpevole l’inquisita dell’imputatole delitto, fu condannata ad anni 12 di duro carcere e negli accessori di legge, visti ed esaminati gli atti processuali;
l’imperial regia sezione d’appello in Verona, come superior giudizio criminale, in conferma della prefata sentenza, giudica essere Giovanna Sella colpevole dell’imputato delitto d’infanticidio e come tale la condanna ad anni 12 di duro carcere, da espiarsi nella casa di correzione in Venezia, al pagamento delle spese processuali ed alimentarie e tassa della sentenza di fiorini 12, colle riserve del paragrafo 537 del Codice penale, parte prima, omesso di pronunciare sul danno perché non avvenuto.
Di ciò, col ritorno degli atti rassegnati col rapporto 10 corrente num. 1994, si rende inteso cotesto tribunale per la corrispondente intimazione ed esecuzione.
Dalla imperial regia sezione d’appello
Verona, 28 agosto 1849
All’imperial regio tribunale provinciale di Vicenza
1 Busta 903.
2 Il paragrafo 122 del Codice era compreso nel Capo XVI, dedicato all’omicidio: “La madre che nel parto toglie di vita il proprio figlio o che, ommettendogli deliberatamente i soccorsi necessari in occasione del parto, lo lascia perire, è punita, se il figlio è legittimo col perpetuo carcere durissimo; s’è illegittimo ha luogo, nel caso che gli abbia dato la morte, la pena del carcere duro da dieci fino a vent’anni; ed avendolo lasciato perire, colla deliberata ommissione dei necessari soccorsi, da cinque fino a dieci anni”, Codice…, p. 42.
3 “Reo del delitto non è solamente quegli che n’è l’immediato autore, ma ogni altro ancora che col mandato, col consiglio, coll’istruzione apre l’adito al misfatto; con animo deliberato dà l’occasione di commetterlo, col somministrare a tal uopo i mezzi, col rimuovere gli ostacoli; od in qualunque modo lo promuove, vi presta aiuto, contribuisce a renderne sicuro l’eseguimento; od anche solamente con previ concerti s’accorda coll’autore del delitto su l’aiuto e l’assistenza da prestargli dopo averlo commesso, o sopra una parte del lucro o vantaggio che se ne fosse per ritrarre”, Codice…, pp. 8-9.
4 “Chi senza precedente intelligenza si rende fautore del reo coll’assisterlo ed aiutarlo dopo commesso il delitto, o venendogli questo a notizia ne ritrae lucro e vantaggio, non si fa reo dello stesso delitto, ma di un delitto particolare, come da questo Codice viene appresso determinato”, Codice…, p. 9.
5 Paragrafo compreso nel Capo XXVII che trattava Dell’aiuto prestato a delinquenti: “Secondo caso: Quando taluno occulta all’investigante magistratura gli indizi che servir possono a scoprire il delitto o il suo autore, o le nasconde il reo, o dà ricetto a delinquenti da lui come tali conosciuti, ovvero seconda le loro combriccole, potendole impedire”. Tale forma di complicità era punita nel successivo paragrafo 194 con la pena del carcere da sei mesi fino a tre anni, “ma nel caso di dato ricetto o di secondare combriccole col duro carcere fino a cinque anni”, Codice…, pp. 61-62.
6 Il paragrafo 195, completando quanto era stato detto nei due precedenti, recitava: “Non possono però punirsi per la sola occultazione i parenti del reo in linea ascendente e discendente, il suo coniuge, i suoi affini in primo grado, i suoi fratelli e le sue sorelle ed i suoi primi cugini”. L’occultazione si riferiva ovviamente agli indizi di cui il giudice avrebbe potuto servirsi per accertare la colpevolezza del parente imputato di un determinato delitto.
7 Il paragrafo 269 era compreso nel capitolo dedicato all’Investigazione e legale imputazione d’un delitto commesso e recitava: “Gli indizi più vicini finora accennati ed altri consimili bastano per sé soli alla legale imputazione. Ma possono a questa bastare anche gli indizi più rimoti, se vari se ne combinano in una persona con tal consonanza, che l’uno dall’altro abbia appoggio o non siavi alcuna circostanza contraria da cui venga indebolitala lor connessione”, Codice…, p. 88.
8 Cioè i due paragrafi del capitolo XVI del Codice, che rispettivamente definivano il reato di omicidio e di infanticidio, Codice…, pp. 41-42.
9 Spazio lasciato in bianco.
10 Con successivo decreto del 25 settembre 1849 il tribunale modificò tale decisione, in quanto la legge del 16 maggio 1826 aveva stabilito che “il luogo destinato per i condannati al carcere semplice e per le donne condannate criminalmente sia per l’avvenire la casa di correzion di Venezia”, n. 73.
11 “Se l’imputato è giudicato reo o se l’inquisizione è dichiarata sospesa per difetto di prove legali, si deve bensì esprimere nella sentenza ch’egli è obligato di risarcire al giudizio criminale le spese; ma questo risarcimento non può esigersi sulle sue sostanze, se non in quanto con ciò non si diminuisca la sorgente de’ suoi mezzi di sussistenza, né gli s’impedisca l’adempimento degli obblighi a lui appartenenti di prestare un’indennità o di mantenere i suoi. A motivo del risarcimento delle spese non può mai differirsi l’esecuzione della sentenza riguardo alle restanti parti in essa contenute”, Codice…, p. 197.