20 La tentazione del pompiere

Attentato furto a danno di Antonio Beltrame di Vicenza, a sopetta opera di Giovan Maria Guglielmini1

Referato di preliminare investigazione

Trovandosi nelle mani dell’artefice per venire aggiustato il pubblico orologio della torre municipale di questa città , e conseguentemente non potendo compiere l’ufficio suo, durante la notte dal 15 al 19 dicembre anno decorso 1851 venivano incaricati di battere le ore li due civici pompieri Sante Bevilaqua e Giovanni Maria Guglielmini.

Riggida correndo la stagione, e tanto più in tempo di notte, ottenevano così di potersi fermare negli intervalli tra un’ora e l’altra di quella notte presso l’altro pompiere Angelo Turretta, il quale, siccome custode dell’ufficio del signor Antonio Beltrame, incaricato agli alloggi militari, tiene la propria abitazione presso al medesimo e nello stesso locale, a metà del gran scalone di questo municipale palazzo; ed anzi quella sera aveva il Turretta accesa la stuffa nella sala che serve di anticamera all’ufficio del signor Beltrame, nonché all’altro del signor Marco Laschi fornitore degli oggetti militari, ed al magazzino in cui gli oggetti medesimi vengono custoditi, perché passassero quivi la notte riparati dal freddo.

Verso le ore 7 pomeridiane infatti del giorno 18 dicembre li Bevilacqua e Guglielmini, in compagnia del custode della torre comunale Gaetano Facchin e di altro giovane loro amico, certo Giulio Benvenuti, in allora oste all’insegna del campanello, si recavano sulla torre medesima ad assistere l’artefice che lavorava intorno alla macchina dell’orologio ed in tal guisa consumavano il tempo fino dopo le ore 11.

Battute quelle, tutti insieme scendevano e recatisi il Bevilacqua ed il Facchin direttamente dal Turretta, il Guglielmini ed il Benvenuti allo incontro si allontanavano assieme e non ritornavano che verso un’ora e mezza dopo la mezzanotte, avendo occupato tutto quel frattempo nell’andare a cena all’osteria, nell’andare un momento a casa dal Guglielmini per parlare questo colla propria moglie, e quindi in altro sito a bere un bicchierino di liquore.

Intanto li Turretta e Bevilacqua avendo mandato il Facchin a prendere del vino ed un mazzo di carte da giuoco, si erano posti a giuocare e, sopraggiunti gli altri due, prendevano parte quelli pure alla partita.

Le ore 12 e le 1 venivano suonate dal Facchin e tutte le altre quasi fino a giorno venivano suonate dal Bevilacqua, rifiutandosi ogni volta il Guglielmini di andarvi, ripettendo sempre che era stanco.

Verso le ore 2 e mezzo il Turretta preso dal sonno recavasi al riposo nel proprio stanzino e non molto tempo dopo anche il Facchin andava a coricarsi sullo stesso letto a lui d’accanto.

Alle ore 3 andava il Bevilacqua sulla torre a suonarle fermandosi così fuori per circa dieci o dodici minuti, restando intanto in quell’anticamera il Benvenuti che colla testa appoggiata alla tavola dormiva saporitissimamente ed il Guglielmini che quantunque sonnecchiasse ciononpertanto era desto.

Quando esso Bevilacqua rientrava in quella stanza accorgevasi che il Guglielmini anziché seduto, come era prima, trovavasi in piedi, colla lucerna in mano e si riguardava attorno per la stanza.

Richiestolo allora che facesse, rispondeva egli che sembrato avendogli sentirsi cadere di dosso qualche cosa, avea ricercato in terra, senza però trovar nulla; ma vorrebbe però il Bevilacqua che non già in terra esso aggirasse lo sguardo ma bensì invece intorno alle parti della stanza.

Quando fu a suonar le 4 il Bevilacqua distingueva chiaramente al ritorno uno strepito che riconobbe prodotto dal movimento dello scrocco della porta interna dell’ufficio del Beltrame, ma quando entrava trovava tuttora il Benvenuti nella stessa posizione immerso in profondo sonno ed anche il Guglielmini che stava seduto su di una sedia colla testa appoggiata alla tavola, come in atto di dormire.

Però vorrebbe esso Bevilacqua essersi accorto che il sonno di quest’ultimo fosse simulato.

Diffatti egli asseriva che quando il Guglielmini veramente dormiva, niuno arrivava a scioglierlo senza scuotterlo in modo molto sensibile, ed in quel momento allo incontro, avendolo egli appena toccato un momento sopra una spalla chiamandolo per nome, quegli tosto si alzava a chiedere cosa volesse.

Ogni ora insomma che andava a suonare, riteneva il Bevilacqua che il Guglielmini si movesse durante la di lui assenza, ma tutto ciò sul momento non suscitava in lui il minimo sospetto.

Finalmente dopo suonate le ore 5, destatosi anche il Benvenuti, scendevano tutti e tre insieme in piazza e recavansi sotto i portici dello stesso palazzo in un botteghino a bere l’acquavite. Fermandosi quivi fino poco prima delle 6 ed allora il Bevilaqua recavasi sulla torre a suonarle, lasciando al botteghino gli altri due.

Ritornato a basso poco dopo, più non trovava ivi che il Benvenuti, dal quale rilevava che il Guglielmini subito dopo di lui era sortito senza dire ove andasse, dopo di che più quella mattina nol vedea.

Alle ore 6 all’incirca il Turretta alzatosi, reccavasi come al solito a pulire l’ufficio del signor Beltrame, e pochi istanti di poi capitava anche Carlo Fumagalli custode dell’ufficio del Laschi a fare in quello altrettanto. Così a prima vista di nulla accorgevasi il Turretta, ma il Fumagalli, non appena colà entrato, accorgevasi della mancanza di una coperta da letto imbottita, esistente fino alla sera antecedente in uno stanzino attiguo all’uffizio del Laschi.

Non sapendo immagginare la causa di quella mancanza, sovvenendosi che quella notte oltre il Turretta altri erano stati in anticamera, a quello tosto rivaglievasi onde interrogarlo in proposito, ma nulla egli era al caso di rispondere se non che, accortosi che dopo essersi egli alzato il Guglielmini a sua insaputa era andato a coricarsi sul suo letto, recavasi da lui dopo aver analogamente interrogato il Bevilacqua, che di tutto mostravasi ignaro e svegliatolo lo interrogava se nulla sapesse di quella coperta, al che l’altro rispondevagli che ad esso non importava di ciò sapere.

Insistendo però quest’ultimo, alla fine confessavagli il Guglielmini d’averla tolta egli stesso e d’averla portata a casa sua.

A tale confessione inducevalo per altro colle buone il Turretta ad andarla a riprendere per collocarla nuovamente là dove l’avea levata, come diffatti egli anche faceva.

Qui tutto credevasi finito ma all’incontro recatosi all’uffizio verso le ore 7 mezzo di quella stessa mattina il signor Beltrame si accorgeva tosto che più non potevano aprirsi colle relative chiavi né un cassettino né la ribalta superiore del suo scrittoio per essere state entrambe sconcertate forzatamente quelle serrature ed accorgevasi pure essere stato tentato ancora di aprire un cassetto ad uso scrigno esistente in un cantonale nell’uffizio medesimo, il che tutto risultava anche in seguito dalla giudiziale ispezione.

Stava egli pensando come ciò poteva essere avvenuto, allorché sopraggiunto il Fumagalli narravagli l’affare della coperta e di altri segni di forzatura riscontrati in un armadio nel magazzino del Laschi, contenente biancheria per uso militare, senza però che nemmen questo fosse stato aperto.

Per tutto quanto sopra si é già accennato, tutti li sospetti riguardo all’autore di quelle alterazioni e forzature caddero tosto a carico del Guglielmini.

Quantunque tanto l’uffizio del Laschi che quello del Beltrame fossero chiusi a chiave, ciò nullameno non era impossibile il penetrare negli stessi, mentre la chiave di quello del Laschi sullo scrittoio trovavasi del Beltrame e quella dell’uffizio di quest’ultimo trovavasi appesa ad un chiodo ad una parete della anticamera ove passarono quella notte li sunnominati individui.

Oltre a tutto questo soggiungeva poi il Beltrame di ritenere indubbiamente che il Facchin ed il Turretta, sulla cui fedeltà non potea dubitare, non avessero certo presa parte a quel furto, mentre dovendosi giudicare che l’intenzione di chi ne fu l’autore fosse quella di commettere un furto, il Turretta specialmente che era informato che egli teneva i denari nel cassetto laterale destro dello scrittoio, avrebbe certamente tentato di aprire quello anziché l’altro di mezzo, e la ribalta superiore in cui sapeva non esistervi che carte inconcludenti e di nessun valore.

Per buona sorte in quella circostanza anche lo scrigno era vuoto, nulla avendosi riposto in quel mese, ma però non di rado avveniva, e specialmente verso il finire ed il principiare di ogni mese, che si trovassero nello stesso riposte e 2000 ed anche 3000 lire austriache e di ciò, oltre del Turretta, ne potevano essere informati benissimo anche il Bevilacqua ed il Guglielmini.

Se nulla però c’era nello scrigno e nulla pure nel cassetto e ribalta che era stato tentato di aprire, non così potea dirsi dell’altro cassetto a destra dello scrittoio. Quivi, giuratamente asseriva il Beltrame, si trovassero quella sera circa austriache lire 100 effettive, che sarebbe stata la somma che ordinariamente colà teneva per le piccole spese occorrenti quotidianamente nell’amministrazione da esso tenuta per gli alloggi militari; e quelle i malfattori, qualora avessero aperto quel cassetto, potevano senz’altro asportarle.

Oltre poi a quella somma in quel cassetto teneva pure in quella sera il Beltrame custodita alcune private carte di credito, estranee affatto all’amministrazione, le quali erangli state affidate da qualche ditta mercantile di Vienna a (cui) appartenevano, perché esso qui ne curasse la riscossione dell’importo da chi ne era obbligato al pagamento, ed ammontando il complessivo importo delle medesime alla somma di circa 900 fiorini esso Beltrame sarebbe stato per la somma stessa responsabile nel caso che quei chirografi fossero venuti a mancare.

In seguito a questo fatto il Guglielmini, di spontanea sua volontà, chiedeva ed otteneva la sua dimissione dal corpo dei civici pompieri, non bastandogli, a suo dire, il tenue stipendio che in tale qualità percepiva per provvedere alle spese di mantenimento per sé e per la moglie ed un tenero figlio dell’età non ancora di due anni, tanto più che anche li vecchi suoi genitori abbisognavano pure di assistenza, e per questo era egli ritornato a fare il falegname a Bassano sua patria.

Sentitolo quindi in riservato esame sul fatto in discorso, egli ne confermava appieno tutte le circostanze fino al punto in cui verso le ore 2 mezzo dopo la mezzanotte il Turretta ed il Facchin andavano al riposo e così pure confermava avere in seguito sempre il Benvenuti dormito.

Vorrebbe però essere stato anche egli qualche volta a suonare le ore quella notte, senza saper però ricordare quali, dicendo solo che gli sembrava d’aver suonate quelle verso l’avvicinarsi del giorno.

Negava egli assolutamente di essere entrato né nell’uffizio del Beltrame né in quello del Laschi, né di aver girato col lume mentre il Bevilacqua andava a suonare le ore e dichiarava soltanto che al ritorno del Bevilacqua, dopo suonate le ore tre, sarebbe insieme a lui entrato in uno stanzino esistente in faccia all’ufficio del Beltrame, la di cui porta sarebbe stata socchiusa affine di vedere se ivi fosse ancora un letto che un tempo esisteva, onde coricarsi sullo stesso per riposare un poco, ma non avendo rinvenuto quel letto ed accortosi invece che ivi sopra un tavolo trovavasi una coperta da letto imbottita venivagli in pensiero di nasconderla per fare uno scherzo al Turretta, cioé di fargli credere che qualcuno la avesse rubata.

Tale suo pensiero vorrebbe averlo communicato al Bevilacqua, il quale sarebbesi mostrato disposto di assecondarlo, ma non havendo poi colà luogo opportuno per nasconderla pensava di portarla a casa sua e quindi effettivamente a casa la portava in sul fare del giorno.

Al contrario di quanto, come vedemmo, il Bevilacqua depose e sostenne anche il Benvenuti, vorrebbe esso Guglielmini far credere che mentre egli scendeva col Bevilacqua in piazza dopo le 5 della mattina a bere un bicchierino, il Benvenuti fosse rimasto solo nel locale ove avevano passata quella notte, quando invece egli pure scendeva in loro compagnia, essendo da essi medesimi stato svegliato, e ciò sostenendo vorrebbe sopra di lui il Guglielmini far cadere qualche vago sospetto riguardo alle violenze usate quella notte negli uffizi del Beltrame e del Laschi, della sussistenza però delle quali egli dichiaravasi ignaro assolutamente di propria scienza, avendone solo sentito parlare in proposito il giorno addietro in caserma.

Dopo essere quella mattina stato a portare a casa quella coperta, ritornato esso Guglielmini, al suo dire, ove avea passata la notte insieme agli altri, accortosi che il Turretta si era alzato, andava egli a coricarsi sul di lui letto. Alzatosi verso le ore 8 mezzo circa e sortito di là, incontravasi per istrada nel Turretta, il quale in tuono piuttosto serio domandavagli conto della coperta, al che tosto vorrebbe egli aver risposto col domandargli se avesse in proposito parlato col Bevilacqua, che quello l’avrebbe informato del vero stato della cosa, essere cioé tutto questo un semplice scherzo; e soggiungendo che appunto essendo essendo stato uno scherzo era pronto a riporre quella coperta a suo luogo, andava a riprenderla tosto a casa e direttamente andava a ricollocarla nel sito ove l’avea trovata.

Della coperta, che come dal protocollo 26 maggio decorso pezza 14, veniva restituita a Carlo Fumagalli custode dell’ufficio del Laschi, avendola egli stesso depositata in giudizio, veniva da lui stimata dell’approssimativo valore di venete lire 50, pari a austriache lire 28,57.

In seguito alla narrazione fatta dal Guglielmini, relativamente all’asporto della coperta, trovavasi opportuno di riassumere in esame il Bevilacqua, ma ad onta della contestazione fattagli del deposto di quello, dandogli perfino lettura del di lui esame al passo relativo di non aver nemmeno mai veduta quella coperta, di non aver inteso il proggetto del preteso scherzo del Guglielmini, di non esser con lui entrato in alcun locale in cerca di un letto, che sapeva che dal 1846 a questa parte più non esisteva, e concludendo col dichiararsi pronto a sostenere tutto questo in faccia a chiunque e così pure in faccia allo stesso Guglielmini.

Buonissime sono le politiche informazioni sul conto di tutti li sunnominati individui e quindi su quello pure del Guglielmini, al di cui nome sono pure silenti le fedine sì politiche che criminali e le deposizioni in giudizio degli altri vengono dichiarate degne di fede ed in grado speciale riguardo alli Turretta e Facchin.

Tali essendo le emergenze della presente criminale investigazione passa il relatore ad esporre il seguente

Voto

Questa investigazione tendeva alla verificazione di due fatti ed insieme alla scoperta degli attori.

Il traffugo delle coperte e gli attentati di forzatura sopra i calti di un comò e di uno armadio egli é questo un fatto legalmente verificato, come mercé la attestazione del Beltrami cui tali mobili appartenevano devesi ritenere provato come in altro di quei calti del comò che non fu però tocco vi esistesse la somma in denaro di austriache lire 100.

Ragionevolmente parlando devesi presumere che colui il quale si accingeva a quelle operazioni sopra le due serrature avesse in sua mente lo scopo di derubarvi i danari se quelli erano li ripostigli ordinari nei quali dal Beltrame si ponevano in somma di circa 1000 austriache.

Sebbene quindi l’autore di quelle forzature omettesse ogni pratica sul calto che conteneva le austriache lire 100, nullameno siccome questo forma parte del tutto, così ritengo che il fatto delle forzature debbasi riguardare delittuoso sotto gli aspetti di un attentato di furto.

Ciò premesso, presunzione vuole che fra li diversi individui che in quella notte si trovavano in quei locali, il solo Giovan Maria Guglielmini fosse l’autor di quell’attentato.

Egli é ben vero che l’andirivieni in tutta quella lunga notte in quei locali colla stazione più o meno permanente ella é questa una circostanza a tutti comune, ma quando si riflette che il solo Guglielmini si permetteva sotto le sembianze di un furto di trasportare di là e recare a sua casa una coperta, ecco come in allora a preferenza devesi di lui dubitare.

Ma quando si considera che questo dubbio deriva da una circostanza di fatto che poteva essere comune anche a tutti gli altri, in allora questo dubbio basato a semplici persuasioni non può mai di per sé elevarsi a solido indizio di colpa, sebbene sia assistito dal fatto della trasportata coperta, il quale cessa di appartenere alla punitiva giustizia, stanteché in ogni modo ne veniva quasi spontanea restituzione prima ancora che l’autorità ne avesse avuto contezza alcuna.

Ad infievolire poi il sospetto sulle attentate forzature abbiamo anche la immunità da precedenti censure. Il che tutto determina il relatore aproporre essere attentato di furto delittuoso li esperimenti di apertura sui cancelli di quel comò, ma doversi desistere per insufficienza di indizi di confronto a Giovan Maria Guglielmini di Bassano, riponendosi gli atti all’archivio.

Vicenza il dì 16 luglio 1852

Marchesini

Conchiuso ad unanimia.

1 Busta 1120.