5 La coscienza del giudice

La coscienza del giudice

Esposizione d’infante avvenuta in Schiavon li 28 maggio alle ore tre e mezza antimeridiane ad opera dei fratelli Castenaro Antonio, Castenaro Giusepp, arrestati.

Portò la direzione della casa centrale degli esposti una nota 29 maggio prossimo passato a notizia di questo tribunale d’avere ricevute nel precedente giorno due bambine sane, giunte a maturità, e che dallo stato del fonicolo ombellicale si riteneva dell’età di tre giorni, con avvertenza essere le dette bambine state inviate alla prelodata casa con nota della deputazione politica di Schiavon a mezzo di Cavaion Giovan Battista di Longa, come abbandonate la mattina del 28 sudetto mese alle ore 3 ½ circa, sotto il portico del medesimo ad opera di due sconosciuti, che si erano dati immediatamente dopo alla fuga. 

E verificatasi nel successivo giorno 3 giugno colla ispezione giudiziale l’esistenza delle due bambine, che furono giudicate dell’età di giorni 6 circa, di perfetta salute e con tutta probabilità gemelle, venne la regia pretura di Bassano interessata della relativa investigazione degli atti, della quale, unitamente a quegli costrutti dalla regia pretura di Asiago, nel di cui circondario si pervenne a scoprire la madre di quelle gemelle, risulta di concludente quanto ora esporrò al consiglio.

Trovasi sulla strada carrozzabile da San Lucca, distretto di Asiago, a Vicenza, alla distanza da questo capoluogo di dieci miglia circa, nel paese di Longa la casa di certo Giovan Battista Cavaion, respiciente sul sottoportico che resta, giorno e notte, sempre aperto verso questa strada medesima.

Ora, la mattina del 28 maggio prossimo passato, uscita al suonare dell’avemaria della mattina dalla propria casa Lucia Agasa, vedova Cavaion, trovò essa nell’indicato sottoportico, sopra un grande ceppo di noce, una sporta ed in poca distanza, entro un largo lavatoio di pietra, esistenti nel medesimo, un cesto, presi ora in giudiziale custodia, e scoprì entro questi due infanti che parevano nati da pocche ore.

Ed avendo essa, a tale vista, mandato un forte grido, vide il di lei figlio accorso dietro il medesimo [dal]la stessa casa e trasportò quindi immediatamente la sporta ed il cesto in cucina per difendere le infanti dalla rigidezza dell’aria mattutina. 

E corse poscia a chiamare il parroco locale don Pietro Zarantonello, il quale somministrò alle infanti, riconosciute di sesso femminile, l’acqua di battesimo ed eccitò poscia il Cavaion a portarle di concerto colla deputazione politica del luogo all’istituto balliatico di Vicenza; ciocchè questi effettuò immediatamente, avendo però prima fatto rifocare dalla propria moglie Angela Canella, puerpera in allora di 12 giorni, quelle bambine delle quali una allattò per un quarto d’ora circa, ma l’altra per essere alquanto intirizzita dal freddo non volle prendere latte, e ripettendo esso Cavaion tale umano soccorso, strada facendo, un’altra volta a Povolaro, ad opera d’altra sconosciuta puerpera.

Questo è quello che emerge dai giurati esami dei nominati quattro individui, nella parte che rispettivamente li risguarda, col di più che ognuna di quelle bambine era involta in pezzi di tela di canape e stoppia, qua e là logori, ed in fascie di cotone a righe rosse e turchine in fondo bianco, ed aveva allacciato il bracciolino manco con una fetuccia nera di filugello della larghezza di circa un dito mignolo, coperta l’una il capo di fazzollettino bianco di canape vecchio e poscia con straccio di canape bianco e con collare di giacchetta e l’altra con simile fazzollettino e straccio e poscia con camiccia vecchia. 

E che la bambina collocata nel cesto posto nel lavatoio era più difesa non solo dall’influenza dell’aria, in allora rigida per le precedenti burrasche, ma anche da qualsiasi eventuale ordinario pericolo; che però quella bambina che entro la sporta stava collocata sopra il ceppo di noce poteva essere esposta al pericolo di animali di vario genere, i quali senza ostacolo avrebbero potuto introdursi nel sottoportico.

Emerge poi dal giurato esame di Antonio Viero che, affacciatosi egli per avere sentito dello strepitio al balcone, vidde due villici, i quali all’aprir dello scuro si diedero a precipitosa fuga, provvenendo dalla casa del nominato Cavaion, dirigendosi verso Sandrigo, uno più alto dell’altro e vestiti alla villica, senza che il testimonio gli avesse meglio ravvisati.

Venne però dalla qualità di paglia invenuta esistente in fondo alle sporte e dalla direzione di questi fuggiaschi conghietturato che quelle bambine fossero provenienti dal distretto di Asiago ed arguito, come infatti era, che alcuno incaricato del loro trasporto alla casa degli esposti in Vicenza le avesse, sopragiunto il giorno, colà esposte.

Infatti, seguendo la traccia della confidenza fatta a quell’arciprete di Longa da una sconosciuta ostessa di Lavarda, che fu poscia conosciuta per Lucrezia Maruso, si seppe che la madre di quelle bambine essere doveva certa Maria Pesavento, moglie di Giovanni Pernechele di San Lucca di Crosara, il marito della quale trovasi da 4 anni circa arruolato al servizio militare ed in Milano.

Depone la nominata Maria Pesavento che rimasta essa, in conseguenza di un fallo una sol volta commesso con persona che a niun patto avrebbe palesata, incinta e sentendosi la sera della prossima passata festa del Corpus Domini (25 maggio) vicina al parto, dopo avere ricercata l’assistenza di varie persone, un quarto d’ora circa dopo la mezzanotte, alla presenza e col soccorso di Orsola Santina moglie di Giuseppe Bonato, di Angela Fantina maritata in Domenico Bonan e di Antonio Castenaro, mise alla luce due bambine e venne poscia, partito il Castenaro e l’Angela Fantina, assistita sino alle ore 9 di mattina circa del successivo venerdì circa dalla nominata Orsola Fantina, alla quale a tal ora subentrò la sorella della puerpera Maria Maddalena, maritata Xausa.

Essersi però essa Maria Pesavento Pernechele, sebbene con sommo rincrescimento, per paura che ritornato il di lei marito sacrificherebbe al suo sdegno quelle innocenti bambine, determinata di volerle inviare alla casa degli esposti in Vicenza, al quale oggetto ed onde supplire alle relative spese, essa negando a sé medesima persino il necessario nutrimento, era riuscita di fare risparmio di due napoleoni d’argento.

Aversi essa perciò nella notte del successivo sabbato alla domenica (giorno 27 al 28 maggio), dietro previo accordo preso con Antonio Castenaro, al quale per ciò consegnò i due napoleoni d’argento, con promessa di pagargli dopo eseguito il trasporto altre venete lire 4 al nominato Antonio Castenaro, venuto nella sua casa in compagnia del proprio fratello Giuseppe, muniti ambedue di sporta, consegnate le sue due bambine dopo averle colla possibile precauzione collocate entro quelle sporte, e ciò affinchè le portassero immediatamente a Vicenza nella casa degli esposti, seguendo tale consegna alla presenza della propria sorella Maria Xausa.

Protesta poi essa Pernechele d’essere assolutamente ignara della ulteriore sorte di quelle bambine, avendo soltanto dalla pubblica voce sentito che, anziché essere state portate a Vicenza, possano per strada essere state abbandonate, ma avere sette giorni circa dopo la consegna da Antonio Castenaro, venuto in casa sua per prendere le ulteriori venete lire 4, a sconto delle quali però non potè consegnargli che paglia da treccie di capelli per l’importo di venete lire 2,10, ai fattigli interrogatori, avuto in risposta che le bambine erano andate dove avevano da andare.

Fu da questa donna riconosciuta l’identità delle sporte e stracci esistenti in giudizio con quei che servirono al trasporto delle sue bambine.

A quelle introduzioni corrisposero nella parte che rispettivamente le risguarda pienamente i giurati esami di Orsola ed Angela Fantina, col di più che ambedue attestano l’esistenza della pubblica voce a carico dei fratelli Castenaro e che l’Orsola Fantina depone di più che essendosi essa, nella notte dal 27 al 28 maggio, trovata in casa di Antonio Castenaro per assistere la di lui moglie in una grave malattia, un’ora circa prima della mezzanotte vi misero piede i fratelli Antonio e Giuseppe Castenaro, domandando conto dell’ammalata e portando ognuno d’essi una sporta con entro un infante, nei quali essa testimone riconobbe a prima vista le bambine della Pernechele, al parto delle quali aveva assistito, partendo ambidue poco dopo, senza avere fatta parola sulle bambine e sulla loro direzione.

Depone questa testimone inoltre che giorni dopo, rinfacciato all’Antonio Castenaro l’abbandono di quelle bambine, le volle fare credere d’averle collocate sulla porta della chiesa della Longa, abbandonandole soltanto allorchè ivi erano state raccolte dal campanaio.

La già nominata Lucrezia Maruso, al contrario presente per lo stesso scopo la notte del sabbato 27 al 28 maggio nella casa di Antonio Castenaro e deponendo di conformità sulla comparsa dei fratelli Castenaro, vorrebbe dalla loro bocca in tale incontro avere sentito che quelle erano le bambine neonate della Pernechele, che per la avuta mercede di Venete lire 20 e promessa d’altre Venete lire 5 erano incaricati di portare al pio luogo di Vicenza, per dove erano appunto diretti.

Nulla di concludente si raccolse dall’esame di Lavarda Gaspare Dal Bosco, senonchè la conferma della voce pubblica a carico dei fratelli Castenaro ed il sospetto che certo Giuseppe Bonan, fabbriciere di S. Luca, essere possa il padre di quelle bambine abbandonate; sul di più che tutti e due i fratelli Castenaro gli abbiano, da solo a solo, però confessato d’avere dalla Pernechele avute consegnate le due bambine per portarle a Vicenza e ciò verso la ricevuta mercede di Venete lire 20, ma di essersi recati soltanto sino a Schiavon, ove appesero le due ceste contenenti le bambine alla porta della chiesa e che a motivo che l’Antonio aveva molta fretta di restituirsi a casa sua ove aveva la moglie gravemente ammalata.

Dall’esame del parroco di S. Luca Bortolamio Xillo si raccoglie soltanto la conferma delle vociferazioni pubbliche a carico di Maria Pernechele e dei fratelli Castenaro.

Pienamente consone a quanto fu fin qui esposto sono le informazioni ottenute sopra tale fatto dalla deputazione politica di Crosara.

Sentito sopra tali risultanze, in esame riservato, Giuseppe Castenaro, mentre l’altro fratello Antonio, domiciliato nel distretto di Thiene nella frazione di Sarcedo, comune di Mure, né quindi venne sentito.

Depose questi che trovatosi un sabbato agli ultimi del mese di maggio di mattina in casa del fratello per informarsi della salute della moglie di questi, venne dal medesimo pregato di ritornarvi la sera per assistere durante la notte la cognata ed avendo ciò fatto venne poi invece dal fratello eccitato ad assisterlo a portare via le bambine della Pernechele, e si prestò per mera compiacenza verso il fratello a ciò fare.

Ma passato al suonare dell’avemaria il paese di Schiavon e giunti in Longa, il fratello in prossimità alla chiesa si espresse che, avvanzandosi il giorno, sarebbero veduti dalla gente e che sia per evitare questo scandalo, sia per la stanchezza e per ritornare alla moribonda sua moglie, conveniva abbandonare la continuazione del viaggio ed appesero quindi le due sporte l’una alla manetta, l’altra al catenaccio della porta della chiesa di Longa, situata dirimpetto alla canonica, appiattandosi in un vicino prato fino a che viddero aprire la porta della chiesa e potettero quindi con fondamento ritenere che le bambine saranno state raccolte, benchè ciò non lo vedessero.

Vuole esso deponente per altro in tutto ciò avere machinalmente seguiti gli avvisi del fratello e non averne ricevuta qualsiasi mercede, comunque sapesse dalla bocca del fratello che la Pernechele gli aveva per ciò promesso uno zecchino.

Apparisce questo Giuseppe Castenaro peraltro scevro da pregiudizi e buone sono le informazioni sul di lui conto.

Debbo per ultimo avvertire che la regia pretura di Asiago credette opportuno di sospendere a Maria Pesavento Pernechele la delazione del giuramento perché, come si esprime il rilievo d’ufficio al punto 53, potrebbe alle volte essere almeno contabile di grave trasgressione di polizia e che la sorella della medesima Maria Maddalena Xausa, come al punto 57, venne diffidata del paragrafo 377 Codice penale, parte prima, e si astenne dal deporre.

Sessione criminale del 9 settembre 1837 avutasi nel tribunale provinciale In Vicenza, presenti Bizozero presidente, Fostini, Borgo, Marchesini, Galanti, Martini consiglieri, Penzi segretario, (dottor) Ballardi protocollista di consiglio. 

Martini relatore 

Atti d’investigazione in titolo di esposizione d’infante ad imputata opera delli Antonio e Giuseppe Castenaro fratelli, nonché di truffa politica in danno di Maria Pesavento, imputata al solo Antonio Castenaro suddetto.

Esposte le risultanze degli atti, il relatore esternò il seguente 

Voto

Premetterò in primo luogo l’osservazione che siccome Maria Pesavento Pernechele, in base alle accennate risultanze degli atti non risulta aggravata nemmeno del più remoto indizio di correità nell’abbandono delle proprie bambine, e siccome l’eventuale sua reità di grave trasgressione di polizia a tenore del paragrafo 384 Codice penale, parte prima, non è un legale motivo per sospendere la delazione del giuramento alla medesima, così l’importante di lei deposizione dovrà in seguito essere avvalorata dal giuramento. E per simile già accennato motivo resta pure esclusa l’applicazione della diffida del paragrafo 377 alla di lei sorella Maria Xausa.

Passando poi al merito della causa, ricorderò che le giurate e concordi deposizioni di Giovan Battista Cavaion e di Lucia Agaso sul rinvenimento delle due bambine nel sottoportico della casa Cavaion, sussidiate da quelle del parroco Zarantonello, di Angela Canella e di Antonio Viero, costituiscono, a mio avviso, la piena prova di un fatto qualificato dal paragrafo 133 Codice penale, parte prima, per delitto d’esposizione d’infante, essendo che la conservazione di quelle bambine, avuto riguardo alle circostanze di tempo e di luogo, apparisce apertamente abbandonata all’evento.

Che poi per autori di tale abbandono indiziati siano i fratelli Antonio e Giuseppe Castenaro lo si raccoglie dal possesso di quelle bambine, immediatamente prima della seguita esposizione, stabilito in loro odio indipendentemente dalle deposizioni di Orsola ed Angela Fantini e maggiormente dalla confessione di Giuseppe Castenaro, accompagnata dalla immediata incolpazione del proprio fratello Antonio, non potendosi a mio avviso calcolare a loro vantaggio quanto questo Giuseppe Castenaro introduce per esimere se stesso ed il fratello dalla imputazione di tale fatto a delitto, mentre in ciò apparisce smentito coll’atto del rinvenimento delle bambine nel sottoportico Cavaion. 

Anzi tale introduzione, avuto riguardo al disposto lettera c del paragrafo 306 Codice penale, parte prima, priva persino esso Giuseppe Castenaro dell’applicazione del citato paragrafo.

Apparisce poi l’Antonio Castenaro inoltre indiziato di truffa, mentre da quella Maria Pesavento, sotto la falsa apparenza dell’eseguito incarico del trasporto delle bambine al pio luogo di Vicenza, ne estorse parte del resto della promessa mercede, truffa per altro che si presenta come semplice trasgressione politica, dubbio restando finora se anche il di lui fratello Giuseppe possa aver avuto parte in tale trufferia.

In base a tutto questo il relatore propone:

1) che il consesso procedente sia autorizzato a procedere al completamento di questa investigazione, oltre le altre operazioni che gli sembreranno opportune anche mediante delazione del giuramento a Maria Pesavento Pernechele e mediante giurato esame di Maria Maddalena Pesavento Xausa, non avuto riguardo al paragrafo 377 Codice penale, parte prima, completamento da ricercarsi alla regia pretura di Asiago;

2) che in odio dei fratelli Antonio e Giuseppe fu Adamo Castenaro sia aperta l’inquisizione speciale in titolo d’esposizione d’infante, e ciò in istato d’arresto, ricercando quindi la regia pretura di Thiene della cattura del primo e quella di Asiago di quella del secondo, ed ambedue poi della loro traduzione a queste carceri criminali;

3) che all’Antonio Castenaro sia contemporaneamente contestata la grave trasgressione politica di truffa in danno di Maria Pesavento Pernechele;

4) di sottoporre al visto presidenziale le trasmesse specifiche di accesso perché regolari e rimessone il duplo alla pretura di Asiago.

Conchiuso per maiora col relatore

Richiamatasi dal signor presidente la votazione, li consiglieri Fostini, Borgo, Marchesini convennero col relatore.

Il consigliere Galanti non vedendo nel fatto gli estremi del delitto d’esposizione d’infante, dacchè gli accusati fratelli Antonio e Giuseppe Castenaro stettero in aguato fino a che furono le due bambine ricuperate, opinava che si dovesse in loro confronto desistere da ogni ulteriore investigazione per mancanza di titolo, passati gli atti alla registratura. Conveniva poi nell’approvazione delle specifiche.

Rivolti di nuovo dal signor presidente i voti, i consedenti rimasero tutti fermi nel già osservato.

Laonde fu conchiuso ad maiora col relatore: 

1. di autorizzare il consesso al completamento dell’investigazione, mediante la delazione a Maria Pesavento del giuramento e mediante giurato esame di Maria Maddalena Pesavento, non avuto riguardo al paragrafo 377 Codice penale, parte prima, completamente da ricercarsi alla regia pretura d’Asiago. 

2. di aprire in odio delli Antonio e Giuseppe fratelli Castenaro la speciale inquisizione in titolo di esposizione d’infante, ordinato il loro arresto e traduzione a queste carceri, pel primo requisito la pretura di Thiene e pel secondo quella di Asiago. 

3. di contestare contemporaneamente ad Antonio Castenaro la grave politica trasgressione in titolo di truffa in danno di Maria Pesavento

[e] conchiuso ad unanimia

4. di rimettere un duplo delle specifiche regolarmente ordinate alla pretura di Asiago.

Referato finale

Propongo pel definitivo giudizio gli atti d’inquisizione estratti in titolo d’esposizione d’infante contro gli arrestati fratelli Castenaro Antonio di Crosara e Castenaro Giuseppe di Lavarda del vivente Adamo, villici scevri da anteriori censure e con informazioni dell’autorità politica assai vantaggiose, tranquilli in carcere ed idonei a soffrire gli inasprimenti di legge, costituiti la prima volta l’Antonio nel giorno 26 settembre ed il Giuseppe nel 3 ottobre, nell’inquisizione ultimata in confronto d’ambidue oggidì.

Sono ambidue poverissimi e padri l’Antonio di 5 figli, il maggiore d’anni 15 ed il minore di pocchi mesi, ed il Giuseppe di figli 2, l’uno d’anni 11 e l’altro d’anni 3.

Per ricordare al consiglio le risultanze degli atti nello stato in cui venne decretato l’aprimento della speciale inquisizione in confronto dei predetti fratelli Castenaro, preleggo il referato punto 62 ed il relativo estratto del protocollo di consiglio del giorno 9 settembre, pari numero.

Fu in seguito, inerendo alla deliberazione suddetta, preso in via d’ordine al punto 76 l’esame di quella Maria Pernechele, confermato col di lei giuramento ed assunta in giurato esame  al punto 77 la sorella della medesima Maddalena Xausa, che pienamente si uniforma alle deposizioni della prima.

Ricercata la regia pretura di Bassano all’oggetto di escludere la difesa del Giuseppe Castenaro nell’informativo suo esame, cui era facile prevedersi si sarebbe appigliato anche l’Antonio, d’aver cioè le bambine loro affidate per la traduzione al pio luogo di Vicenza, appese all’uscio della chiesa della Longa e guardate da un vicino nascondiglio sino all’aprimento di quell’uscio, all’oggetto di suonare l’avemaria della mattina, dagli esami di quell’arciprete e campanaio, si ebbe a rilevare che il campanaio della Longa è quello stesso Antonio Viero, già esaminato come testimonio al punto 66 e ch’egli, sotto il vincolo del proprio giuramento, attesta essere egli nella mattina in discorso entrato il primo in quella chiesa per l’uscio degli uomini, cioè laterale, senza passare innanzi all’uscio delle donne, ossia maggiore, e non avere egli trovato nulla appeso a quell’uscio; avere nell’appresso veduti provenire i due villici descritti nell’anteriore suo esame, precisamente dal sottoportico di casa Cavaion e quindi in direzione opposta a quella di chi provenisse dalla chiesa, come dall’esame del tipo punto 70.

Il riassunto arciprete esclude d’avere giammai saputo od inteso che le bambine in discorso possano prima essere state esposte sull’uscio della chiesa e si protesta quindi sotto il vincolo del già prestato giuramento persuaso che la loro esposizione seguì nel sottoportico della casa Cavaion.

Sottoposti in queste risultanze degli atti gli arrestati fratelli Castenaro a costituto sommario ed articolato l’Antonio, come da lettura dell’interrogatorio 2 del punto 84, si uniformò pienamente alle deposizioni del fratello e della Pernechele sulla consegna delle due bambine di questa, all’oggetto di portarle al pio luogo di Vicenza, verso il corrispettivo di Venete lire 25, delle quali ricevette all’atto due napoleoni d’argento e loro trasportò sino a Longa, e proseguì che per essersi in allora fatto pieno giorno, onde evitare scandalo e ritornare più presto alla sua moglie giacente ammalata, appesero alla porta della chiesa della Longa le due sporte e ritirati alla distanza di poco più di trenta passi, tenendosi nascosti dietro ad una siepe, aspettarono per poco meno che ¾ d’ora, sino a tanto che loro venne dato sentire che si aprivano gli scuri dell’unica fenestra della canonica, verso la porta della chiesa che appartiene alla stanza da letto di quell’arciprete e comunque nessuno si facesse vedere a quella finestra, essendo per le grida delle bambine certi che l’arciprete sene doveva accorgere e quindi tranquilli sul loro battesimo e salvamento si diressero di gran corsa verso casa, sentendo dopo altri ¾ d’ora o ½ ora circa a suonare l’avemaria alla Longa.

Nel posteriore suo costituto, punto 88, poi introdusse che comunque egli abbia poca pratica della chiesa della Longa, tuttavia ritiene avere dessa una sola porta situata dirimpetto all’altare maggiore, alla quale appunto appesero le due sporte.

Cadde poi in acconcio l’assumere che, stando al tipo punto 70, impossibile riuscirebbe il vedere da alcuno dei balconi della canonica quella porta maggiore della chiesa, ciocchè ammise lo stesso inquisito all’interrogatorio 32 punto 91, attribuendo la loro speranza di ben presto raccoglimento delle bambine alle grida delle medesime ed all’imminente necessità di aprire quella porta per andare a suonare l’avemaria.

Del resto, ad onta di tutte le circostanze oppostegli in contrario, persistette sempre in questa sua deposizione, attribuendo a sbaglio del fratello le divergenze delle introduzioni di quest’ultimo ed ammettendo d’essere egli, Antonio, stato quello che disegnò tutto l’atto, nonché d’avere dalla Pernechele, col farle credere l’eseguimento del suo ordine, ottenuta a conto delle Venete lire 4 tanta paglia da treccia di capelli per lire venete 2,8 e protestandosi quanto alla restituzione di queste non solo, ma eziandio dei due napoleoni d’argento.

L’inquisito Giuseppe Castenaro poi persistette da principio nelle già accennate sue deposizioni, escludendo che in tutto quel tempo che essi fratelli stavano in osservazione alla distanza di trenta pertiche circa dalla chiesa sentissero alcun movimento o strepito, meno le grida delle bambine, accennando però che prima, passando innanzi la canonica, i balconi e porte della quale erano ancora chiusi, entro vi avevano sentito […] e s’uniformò nel restante alle deposizioni del fratello, soloche volle fare credere avere egli appese le bambine all’uscio laterale, ossia degli uomini della chiesa.

Nel progresso del costituto però, sentendosi rinfacciare che il fratello deponeva dell’uscio delle donne della chiesa ed attribuiva non già all’aprimento dell’uscio della chiesa, ma all’aprimento di un balcone della canonica la loro risoluzione di abbandonare il loro nascondiglio e di ritornare a casa, abbandonò le primiere sue deposizioni e si uniformò a quelle del fratello, attribuendolo a difetto di memoria ed alla poca sua pratica del luogo se da principio era incorso in errore.

Fu ad entrambi opposto che il fatto del collocamento di quelle sporte con entro le bambine sull’uscio della chiesa della Longa ed il successivo abbandono delle medesime colà, al solo aprirsi di un balcone della canonica e prima che fossero certi che alcuno le avesse raccolte o si fosse almeno accorto della esistenza delle bambine in quella situazione, stando anche alle deposizioni di essi inquisiti, presenta, avuto riguardo alle circostanze di tempo e di luogo, gli estremi del delitto del quale sono imputati, e si rimisero su di ciò tutti e due alla giustizia, alla clemenza della quale si raccomandavano, in vista della loro sincerità, povertà e numerosa famiglia, come da lettura degli esami difensionali.

Voto

L’atto col quale i fratelli Castenaro, spinti dal desiderio di risparmiarsi la fatica di un viaggio al pio luogo di Vicenza ed in contravvenzione all’obbligo su di ciò incontrato verso sufficiente compenso con Maria Pernechele, collocarono le due bambine di questa dell’età d’appena tre giorni entro le sporte esistenti in giudizio, di gran mattina nel giorno 28 maggio all’aria aperta, molto rigida per le precorse burrasche, sull’uscio della chiesa della Longa, posta in luogo solitario ed isolato, e dopo essere pel corso di tre quarti d’ora circa, alla distanza di trenta pertiche stati in guardia di ciò che fosse per avvenire di quelle bambine, all’aprirsi di un balcone della canonica, distante certo oltre trenta pertiche, senza vedervi apparire alcuno, sulla sola speranza che qualcheduno dovesse intendere il pianto di quelle infelici e quindi muovere onde raccoglierle, abbandonarono le bambine senza essersi assicurati che ciò era realmente avvenuto, costituisce a mio avviso, per sé solo, il delitto d’esposizione d’infante, per essere la conservazione di quelle bambine stata così abbandonata al solo evento.

Quindi, stando anche soltanto alle deposizioni dei detenuti, a termini dei combinati paragrafi 133, 399 e 403, lettera f, si presenterebbe raggiunta colla loro confessione la prova legale della loro reità, né giova ricorrere alla prova nascente dal concorso delle circostanze, contemplata dalla sovrana risoluzione 6 luglio 1833, per ravvisarli premessa la piena prova dell’esposizione di queste bambine nel sottoportico Cavaion, in vista degli indizi della loro presenza sul luogo e dell’essere ad essi state consegnate le bambine, oltre il particolare motivo che potevano avere per ritornare tosto a casa ed oltre le deposizioni  del Viero e le contraddizioni vitali che si trovano nelle primiere loro introduzioni, rei convinti di avere quelle bambine esposte nel sottoportico Cavaion. 

E ciò non solo perché l’una o l’altra di quelle esposizioni, a termini del paragrafo 135, Codice penale, parte prima, presenta ad un di presso il medesimo grado di pericolosità, ma eziandio perché la loro fermezza nel negare un fatto per l’ora accennato riflesso inconcludente, e più il ritardo sensibile incorso in quella mattina nel suonare l’avemaria della mattina alla Longa e la circostanza che l’Antonio Viero nel primo suo esame non accennò né la sua qualità di campanaio della Longa, né l’avere egli in tale qualità avuto in quella matteria il primo l’ingresso in quella chiesa, a mio avviso non lascierebbero del tutto tranquilla la coscienza del giudice nell’addossare loro la colpa della esposizione nel sottoportico Cavaion, tanto vicino alla casa del Viero.

Il delitto degli inquisiti è comminato dal paragrafo 135 colla pena del carcere tra sei mesi ed un anno, concorre in esso come aggravante per tutti e due il riflesso che si trattava dell’esposizione di due bambine ed in aggravio dell’Antonio la concorrente reità della grave trasgressione politica di truffa. 

Come mitiganti, all’opposto, oltre la confessione, avuto riguardo al superiore mio ragionamento, concorrono le circostanze accennate sotto lettera b e d del paragrafo 39 e lettera c del paragrafo 40 Codice penale, parte prima e riguardo al Giuseppe quella eziandio della lettera c del paragrafo 39 suddetto.

Attesa quindi la prevalenza delle circostanze mitiganti ed avuto in oltre riguardo alla famiglia numerosa di tutti e due e specialmente dell’Antonio, ritengo applicabile ad entrambi il paragrafo 48 ed all’Antonio inoltre il paragrafo 49 Codice penale, parte prima, avuto anche riguardo che lo stesso Antonio si dichiara pure pronto alla restituzione dei 2 napoleoni d’argento avuti dalla Pernechele per la non eseguita commissione, ma che il Giuseppe non entra per nulla né in questa pretesa di mero diritto civile, né in quella derivante dalla truffa, che sta ad esclusivo carico dell’Antonio, propongo:

1. abbiasi a dichiarare mediante sentenza gli inquisiti Antonio e Giuseppe Castenaro del vivente Adamo rei del delitto d’esposizione d’infante e l’Antonio inoltre della grave trasgressione di polizia di truffa, ed a condannargli alla pena del carcere da subirsi in questi recinti carcerari, pel primo, cioè per l’Antonio, di mesi due inaspriti col digiuno in ogni venerdì della sua detenzione, e pel secondo, cioè per Giuseppe, di mese uno, più solidariamente entrambi nel pagamento delle spese processuali e tassa di sentenza, ed individualmente delle spese d’alimentazione, il tutto fatte le riserve del paragrafo 537 Codice penale, parte prima. Condannato l’Antonio Castenaro inoltre al risarcimento dei danni verso Maria Pesavento Pernechele, liquidato in Venete lire 23,8.

2. doversi rimettere gli atti tutti alla regia pretura in Asiago, onde procedere poscia in confronto di Maria Pesavento Pernechele in titolo di adulterio, se e come crederà del caso, ritornandoli fattone l’uso opportuno.

Vicenza, 31 ottobre 1837

Martini

Conchiuso ad unanimia sulla colpa; per dirempta paria col relatore sulla pena di Antonio a due mesi e di Giuseppe a un mese di carcere. Il resto ad unanimia.