Rinchiuso in una delle celle oscure dei pozzi Alvise Bon sembra non avere più alcuna speranza. Ma nel dicembre dello stesso anno è la madre Cecilia Mocenigo ad inoltrare ai Capi del Consiglio dei dieci una supplica in cui rammenta la terribile condizione in cui il figlio si ritrova. Difficile non prestare ascolto alla richiesta accorata proveniente dalla nobildonna, ma tra i membri del Consiglio dei dieci c’è chi non è disponibile a dimenticare.
1588 a XVI di dicembre in Consiglio di dieci
Capi
Ha inteso particolarmente questo Consiglio quello che è stato esposto dalla Nobildonna Cecilia Bon relitta del dilettissimo Nobil nostro Alessandro Bon el Procurator, per la humilissima supplicatione sua hora letta, perché sia ser Alvise Bon suo figliuolo levato dalla preggion oscura nella quale solo si attrova con molto deterioramento della sua vita et posto in altra manco aspra et incommoda.
Però convenendo alla clementia di questo Conseglio essaudire in quello che si può tal sua dimanda
L’andarà parte che esso ser Alvise Bon sia mutato in altra delle preggion serate di qua da canal di quelle che sono verso la luce, la qual sia però quanto più forte et sicura et colla compagnia di alcun altro preggionero.
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La decisione del Consiglio dei dieci, rimasta sospesa (per il cosiddetto pender) contiene alcuni allegati. Dapprima una scrittura della famiglia Trevisan, che si oppone decisamente alla supplica presentata da Cecilia Mocenigo, contrapponendo alla dura esistenza in carcere di Alvise Bon, la tragica fine del loro famigliare e il dolore di altre famiglie. I Trevisan ribadiscono come la condanna al carcere di Alvise Bon sia da considerarsi come una vera e propria pena, avanzando il sospetto che la richiesta inoltrata da Cecilia Mocenigo nasconda in realtà la volontà di creare una situazione tramite cui assicurare una possibile fuga del Bon.
Illustrissimi Signori Capi dell’Eccelso Consiglio di dieci
Alvise Bon reo della morte del quondam Andrea Trivisano deve per sententia dell’Illustrissimo Consiglio di 21 marzo 1587 finire la vita in una prigione serata. Et se fu egli assassino del sangue innocente, non ha a di scontentarsi di haver salvato la vita, pena ordinaria dell’homicida traditore. Costui poco tempo dopo la sua espeditione tentò di rompere la prigione et le forno trovati gli instrumenti con quali al sicuro era fatto strada alla fuga. Onde con nuova parte dell’Illustrissimo Consiglio de 26 genaro 1587 fu preso che havesse a stare per sempre solo nella prigione dove si ritrovava, et non se le potesse dare alcuno in compagnia, sicuri quegli Illustrissimi padri che cadauno picciolissimo aiuto che si fosse aggionto all’arditezza di costui se ne fosse esso fuggito, lasciando delusoria la sententia che vuole che muora in pregione.
Hora, per quanto siamo avvertiti, noi Pietro et Antonio Trivisano, procura quest’huomo di essere mutato di prigione et di havere con seco alcun compagno et ne ha perciò presentato supplicatione a Vostre Signorie Eccelentissime. Il che ci astringe a dirle con ogni riverente sommissione, che a questa sua richiesta contrariano le due parti sudette dell’Illustrissimo Consiglio de 21 marzo et 26 zenaro 87 et che se gli incommodi delle pregioni le parono duri, alla Casa nostra ancora fu crudele novella l’intender in un subito la morte d’un fratello innocente et che se piangono gli suoi parenti la miseria di questo reo, han pianto et piangono molte famiglie l’ingiurie et oppressioni ricevute dall’istesso reo, quietandosi nella considerazione del justo che non sta egli hora serrato in questa prigione per sicurtà della giustitia, ma per pena del delitto per lui commesso.
Questa dimandata permutazione ha per fine qualche stravacante pensiero di quest’huomo, il quale sotto apparentia di debile principio dissegna aprirsi la strada a maggior rissolutione et vuole, se potrà, fugger dalle forze della giustitia, ritornar al vomito et insidiare le vite di noi fratelli, padri di molti figlio lini, la salute delle quali raccomandiamo a Vostre Signorie Eccelentissime, supplicandole a non alterare in alcun punto le parti prese nell’Illustrissimo Consiglio suo, le quali con questa nostra scrittura riverentemente presentiamo.
[secondo allegato]
Supplica di Cecilia Mocenigo Bon ai Capi del Consiglio dei dieci
La supplica rivolta da Cecilia Mocenigo, moglie del procuratore Alessandro Bon è di estremo interesse e ci illumina su alcuni aspetti della vita politica e giudiziaria della Serenissima e del suo ceto dirigente negli ultimi decenni del Cinquecento. Cecilia Mocenigo scrive in soccorso del figlio Alvise Bon, rinchiuso nelle prigioni del Consiglio dei dieci da circa un anno e mezzo. E’ una supplica accorata, scritta da una madre e da una donna il cui sangue esprime in sé i valori e la cultura più profonda del lignaggio cui appartiene, ma anche della stessa antica Repubblica. Ella si rivolge a quegli uomini politici, ricchi di esperienza e di sapienza di governo, pregandoli di rivolgere un pensiero e uno sguardo al figlio che nei piani più bassi del palazzo è rinchiuso in una prigione oscura e angusta, avvolta dall’umidità che proviene dal canale che la lambisce. Una preghiera che, come quelle di tante altre madri appartenenti all’aristocrazia, non può lasciare insensibili uomini adusi a considerare come prioritaria la ragion di stato, ma anche il richiamo non respingibile proveniente da una donna che rappresenta simbolicamente la tradizione repubblicana. Cecilia Mocenigo ricorda pure gli altri suoi quattordici figli: come potrebbero accettare insensibilmente la disperata condizione del fratello, colpito da una gravissima condanna, che gli è stata inflitta per un delitto da lui commesso a salvaguardia del suo onore e della sua reputazione?
La supplica della nobildonna veneziana è anche interessante perché getta uno sguardo su quelle antiche prigioni, poste nel piano più basso di palazzo ducale. Dopo il suo inutile tentativo di fuga, Alvise Bon è costretto a vivere in una cella umida larga circa due metri e poco meno di due metri e mezzo di lunghezza, occupata in gran parte dal letto su cui giace. E soprattutto nella quale penetra solo uno scarso riflesso della luce esterna. Ella chiede che il figlio sia trasferito in una cella illuminata dalla luce diurna e, soprattutto, che gli sia dato per compagnia un altro prigioniero.
Illustrissimi et eccellentissimi signori
Confidata nella summa bontà et cristiana pietà delle Signorie Vostre Illustrissime io Cecilia Bon relicta del carissimo messer Alessandro il Procurator, vengo con ogni umiltà prostrata a soi piedi con infinite lacrime ad esponerli la summa miseria et stato infelicissimo nel quale si ritrova messer Alvise Bon mio figliolo, poiché sono apresso doi anni che lui si ritrova solo et si può dir sepulto vivo nelle tenebre della più stretta, aspra et oribile preggione che si possa imaginare, non che ritrovare, poiché è situata al piano delle rive del suo palazzo et perciò da tutti i tempi rende tanta humidità da tutte le parte, che di continuo si ritrova bagnato il letto, coperte et sui vestimenti, talché in poco tempo s’immarciscono. Oltra di questo è così ristretta et angusta che la sua largezza non è più che sei piedi, et la longezza sette e mezo, che apena basta per coprire il suo letto, sopra il quale per la tanta stretezza convien sempre giacere, non li restando tanto spatio che possa mai fare pur un passo, onde che per il patimento di tanti disagi, incomodità et oscurità si ritrova quasi del tutto privo della luce degli occhi. Et per la tanta humidità si è ormai arsirato quasi di tutta la vita, oltra la sua ordinaria indisposizione che patisse di gotte, per le quali ben spesso si ritrova inhabile a potersi levare per tuore il suo mangiare, del quale spesse volte conviene perziò restar senza, onde core manifesto pericolo di morire una note o un giorno senza poter essere sovenuto da alcuno pur d’una giuzzola d’acqua.
Della verità de tante sue miserie et afflitioni prego et supplico Vostre Signorie Eccelentissime per le viscere di Nostro Signore Iesu Christo a volersene con ogni verità et sincerità informare et chiarire, supplicandole appresso che quando ziò non sia con molto loro incommodo, vogliano vederlo con l’ochio suo medesimo, imitando in ziò Hiesu Christo Benedetto nostro redentore, qual si degnò con tutta la sua deità descendere al limbo per liberare quei santi padri, sicome voglio prometter in certo che per il mezo della sua pietà et religione sarà liberata et ricuperata l’anima di questo mio infelicissimo figliolo, poiché porta molto pericolo continuando a vivere in tanti travagli et miserie di perdersi et perziò supplico genibus flexis Vostre Signorie Illustrissime a voler metter parte ne l’illustrissimo Consiglio che sia mutato di essa preggione et posto in compagnia di alcun altro, in altra più sana, più larga et con un poco di quella luce che è piaciuto al Signor Iddio di fare commune non solamente a tutte le genti, sebene barbare et infedeli, ma anco agli animali inrationali et brutti. In lo che non difido punto dalla summa pietà et religione dell’Illustrissimo suo Conseglio poiché l’ha dimostrata anco in tanti et tanti altri agravati di casi assai più importanti et enormi. E pur questo mio infelice figliolo è venuto do volte a presentarsi volontariamente nelle sue forzie per deffender l’honor suo da molte false e turpi imputazioni introdotte contra di lui da suoi adversari, oltra il caso principale de quei infelisi, quale da l’eccelentissimo Collegio di quel caso furono conosciute cossì vane et false che supra di esse non fu neanche costituito né interrogato. Et sebene questo infelise fu forciato per conservation de l’honor suo di operare quanto fece contra quei infelisi, perziò di tutto quello che è parso ad esso illustrissimo Consiglio, esso mio figliolo et io insieme con con quatordeci altri figlioli che io mi ritrovo, si aquietamo et si aquieteremo sempre a quella et a ogni altra sua deliberazione, poiché altra gratia non si dimanda salvo che sia posto in loco non meno forte o sicuro, ma tale che per salvezza de l’anima possa almeno vivere come cristiano, sicome voglio essere certissima che da esso Illustrissimo et Religiosissimo suo Consiglio io madre sua in felicissima ne sarò consolata come umilmente prostrata a suoi piedi con molte lacrime le chiedo et supplico.
Il 22 dicembre successivo il Consiglio dei dieci riprese la decisione precedente, deliberando a larga maggioranza:
Capi
1588 a 22 di dicembre in Conseglio di dieci
Fu posto da novo la parte che pendeva sotto di XVI del mese presente di mutar di preggione ser Alvise Bon et furono
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E il 5 gennaio 1589 entrarono nel merito della decisione, che è comprensibile anche alla luce degli allegati conservati in filza.
1588 a 5 di gennaro In Conseglio di dieci
Capi
Perché non si deve tardare di esseguir la parte presa in questo Conseglio a XXII del passato in materia di levare dalla preggion oscura dove si attrova ser Alvise Bon
L’andarà parte che fino che si assicurrerà la preggion verso la luce dove egli si ha da porre, sia lui posto in uno di giardini, cioè in quello di dentro et assicurata essa preggione sia in tutto esseguita la sopradetta parte di 22 del mese prossimo passato.
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Cazzadi
ser Leonardo Donado Consiglier
ser Marco Trivisan Capo
[primo allegato]
1588 a di 30 dicembre
Volendo li Eccelentissimi Signori Capi dar essecutione alla parte presa nell’Illustrissimo Conseglio di dieci in proposito del mutar dalla prigion nella quale s’attrova al presente il Nobil Homo ser Alvise Bon et ponerlo in una delle altre che sono verso la luce, di quelle però serrate di qua da canal et quanto più forte et sicura, hanno Sue Signorie Eccelentissime mandato a chiamar uno delli guardiani di dette prigioni et inteso da essi che le tre prigioni che sono verso la luce, le quali sono anche le ultimamente fatte non sono sicure et possono facilmente esser rotte, per esser il volto di piere cotte sole et di sopra il semplice terrazzo dell’officio dell’Avogaria, pensorno di metterlo in uno dei giardini, ma trovando che sotto li 25 mazo 1587 fu presa parte nell’Illustrissimo Conseglio sopradetto che li confinati in esse o a tempo o in vita non potessero senza li tre quarti delle ballotte esser posti in essi giardini, vedendo di non lo poter fare senza l’autorità del sudetto Illustrissimo Conseglio, come in detta parte è disposto, né restando più tempo del presente mese di poter rappresentar al detto Conseglio li rispetti sudetti, hanno ordinato che sia fatta la presente nota, accioché inteso il tutto dalli eccelentissimi suoi successori, possino essi proveder alla essecutione della parte antedetta di mutarlo, come parerà ad essi convenirsi. Et quanto alla compagnia di un altro prigioniero, della quale è fatta mentione in essa parte, hanno presa nota dalli guardiani di alquanti prigionieri, la qual sarà qui acclusa, lasciando anche che detti signori successori suoi li assegnino per compagnia qual di loro prigionieri le parerà.
[secondo allegato]
Alla 4 de suso
Ottavio Pagan
Nicolò Minado da Treviso
Zuanne Menado da Brescia
Giacomo della Zudogava mandado da Verona
Iseppo […]
Alla tre de suso
Floriselo Soncin
Ferigo Specchier
Ruggier da Porto
Valentin Ongaro
Un altro menà da fora
Alla 2 de suso
Francesco Menado da Rovigo
Filippo dalla Frata
Aguatin Mauro
Un menado da Padoa
[terzo allegato]
1588 5 genaro
Volendo li Eccelentissimi Signori Capi dell’Illustrissimo Consiglio di X sapere se le tre preggioni di sopra verso la luce sono sicure, hanno mandato a chiamare Piero guardian delle pregioni delle loro Signorie Eccelentissime et commessogli che ne dica quanto sa. Il qual rispose che el muraro che le ha fabricate gli ha detto che elle non sono sicure, essendo li volti di sopra debolissimi et che non sa altro.
Fatto venir Zuan Maria Murer che ha fatte le sopradette pregioni et interrogatolo come di sopra rispose: quanto a me non le ho per sicure, non vi essendo altro che il volto de coto et il terrazzo sopra.