Serenissimo Principe, Illustrissima Signoria
Messer Hercole Conte padoano, havendo sotto intentione di matrimonio insidiato all’honore di Claudia, nezza di me Giacomo Antonio De Boni, et doppo lo havergli dati certi anelli per segno della fede promessa, ha levata la virginità.
Finalmente la notte 25 di luglio 1573, armato di archebuso et altre armi prohibite, fu trovato in casa mia con essa giovene, in letto, dove si haveva condoto scallando le finestre.
Furono chiamati testimoni a questo fatto; fu interogato messer Hercole della sua intentione, il quale, dopo lo havere più volte affirmato essere venuto per honore della figliola e non per apportare alla casa nostra dishonore et infamia, l’accettò per mogliera, di che se ne fece scrittura sottoscritta dalle parti.
Così pure consolato io povero vecchio, vivuto fin hora senza colpa e senza macchia, volse partire messer Hercole, noi tutti come parente e come figliolo accompagnandolo.
Questo huomo ingiurioso, il quale haveva in strada più di 20 homeni armati che lo aspettavano, tantosto che uscì di casa, manifestando incontinente e lo inganno e la ingiuria, con predetti compagni fece insulto alla casa.
E ad alta voce gridando ‘amazza, amazza’ e molte altre parole turpi e dishoneste combattè la prima scalla e haveria vinta la seconda et amazzati noi tutti se dal gridare di essi armati e dai stridi di mia moglie e di altre anime innocenti che io ho in casa, non si fusse svegliata molta gente della contrada e le monache di Sant’Anna, col sonare le campane non lo havessero impedito.
Partito, adonque, il valente huomo non si è affirmato a questo segno il delito et la fraude, imperochè dubitando esso che io ricoressi alla Serenità Vostra, fattomi parlare da parenti, con novo inganno e tristitia ha protratta in longo la causa.
Così avvene che io misero vecchio, con questa innocente figliola, nata in honesta civilità di fortuna et di costumi, mi trovi inganato, dishonorato et violentato sotto il più giusto e più libero governo del mondo.
Laonde, non havendo che altro partito prendere, sono ricorso ai piedi della Serenità Vostra, supplicando che attesa la qualità della ingiuria, attesa la offesa fatta alla comune libertà et alla ferocità di costui, il quale armato di dosso e di altre armi da offesa, accompagnato con altri bravi et ingiuriosi, mi viene fino sulle porte della mia vituperatissima casa, ella voglia delegarlo a clarissimi signori Avogadori di commun, i quali col mezo dello eccelentissimo Consiglio di Quaranta habbino a provedere alla mia indennità e soccorrere alla mia fama, insidiata et violata e col castigo debito a tale ingiuria a provedere insieme alla mia sicurtà et alla salvezza de buoni, i quai tutti per loro interesse stanno aspettando exemplare giuditio della giustitia e la charità della Serenità Vostra, alla quale pieno di confidenza e di lagrime io misero et infelicissimo vecchio me inchino et raccomando.
1573 12 giugno
Che alla sopradetta supplicatione rispondi il podestà di Padova…
(filza 328)