Serenissimo Prencipe
Si ritrova nel loco de Tricesimo nella Patria del Friuli di Vostra Serenità la famiglia delli Bissoni, li quali, essendo allevadi nell’esercitii di tenir hosterie, le quale già pochissimo hanno lasciato, et boteghe de calegari, delle quali ne hanno anchora, ma a Udene et l’altra nel sudetto loco, hanno sempre cerchato di tiranezar tutto quel loco con malissimi et detestandi modi, per insidiar et privar la famiglia nobile et antiqua di quel logo, come è la nostra di Conti, la quale, con la presenza del gastaldo di Vostra Serenità, ha authorità di iudicar in esso loco.
Et già molti anni, havendo questi Bissoni suscitato tutta la contadinanza desiderosa di novità per intrudersi in questi iudicii, comparsero al suo cospetto et in contraditorio con noi fu aquietata la cosa con una scrittura, la quale essendo stata data in mano al secrettario, acciò facesse la deliberatione, loro intervenienti ge ne supplantorono una falsa, la quale fu tagliata nell’eccelentissimo Consiglio di 40 al criminal, con sua vergogna et castigo.
Dal qual tempo in poi hanno sempre hauto mal animo contra noi, seben lo dissimulavano per venir al horibil termine che la intenderà.
Et ultimamente, credendo che noi non si ricordassimo più delli iudicii sudetti, levorono con grandissima sfaciatezza lettere dal eccelentissimo Collegio, che, fundate sopra la scrittura per loro suplantata, furono tagliate, le quali noi facessimo revocare con sua nota.
Hora, retenendo questi veramente traditori et furie infernal questo odio secretto, essendo messer Mario del Conte, fratello di me Zuan Francesco, redutto il primo giorno di raggione doppo Pasqua sotto la publica loza per dar audientia, aspettando il gastaldo di Vostra Serenità, senza del quale non si può operare cosa alcuna, et essendo il poverino così sentado da un canto del tribunal et da l’altro l’eccellente messer Zuane de Freschi suo cognato, che era al presente capitanio per li clarissimi Vendramini nel logo de Latisana, fratello di me Andrea, che lo era venuto a visitar raggionando di piacevolezze, lavorandosi sotto essa lozza d’ordine delli advocati et nodari, che facevano ad uno marangon slargar il tribunal, fin giongeva il sudetto gastaldo.
Sopragionse Zuan Domenego Bisson, il qual fuori di proposito cominciò a dir che non voleva che si lavorasse lì et che voleva ancho si levasse via quel tribunale che è di Vostra Serenità et chel non stesse più in quel logo.
Alle quale parole, respondendoli il sudetto messer Mario mio fratello, che se lui pretendeva cosa alcuna dovesse comparer avanti il clarissimo signor logotenente, che non li mancheria di iustitia, questo traditor si partì et andò in casa sua, che è ivi contigua.
Et ritornato sotto la lozza, con Mario et Valerio suo[i] fratelli et Raimondo et Nicolò de Bissoni, suoi zermani, con pocchissime parole, non havendo rispetto al loco et l’hora della audientia, come canni arrabiati, prima parte di loro passarono il petto con un pugnale stilettado al povero et eccellente messer Zuane suo cognato, che non haveva a fare con loro in conto alcuno, né forse mai più veduti, dandoli doi altre ferite mortali, et parte girorono a terra il povero messer Mario iusdicente et li detero infinite stiletade in terra, li passorono la spala da una banda a l’altra, essendo con altri tre a noi fin hora incogniti.
Con tanta tiranide quanta mai sia stata udita, dalle quale ferite il sopradetto povero innocentissimo eccellente messer Zuane se ne è morto et il povero messer Mario sta in condicion di morte.
Caso che ha posto in terror tutta quella Patria, che habbia bastado l’animo a questi tirani, posponendo la riverentia che si debbe havere alli loghi publici et representanti Vostra Serenità, cometter così gravi delitti et assassinamenti.
Et seben casi assai minori sono stati assunti nell’illustrissimo suo Conseglio di diece, noi poveri offesi però havemo voluto comparer al conspetto di Vostra Serenità et suplicarla per il sangue sparso et assassinate di questi agnelli innocenti.
Et acciochè la iustitia habbia suo loco, che la sia contenta, tolte le debite informationi, dellegarlo al officio della Avogaria, acciochè si possino far formar li processi et ottenir iustitia, senza pericolo delle vite nostre et d’esser straciati da questi di ricchezze et favori potentissimi et formidabili.
Et a Vostra Serenità, flexis genibus, si recomandemo.
1575 5 maggio
Che alla sopradetta supplicatione rispondi il luocotenente della Patria…
(filza 329)