Serenisimo Prencipe,
La insolenza d’alcuni cittadini della città de Vicenza, la commodità di beni di fortuna, il favor et le adherenze che tengono d’amici et de parenti nella lor città, molti anni fa ha travagliato et offeso et disperato il fedelissimo vicariato di Malo, perciochè i Muzani, i quali sono capi principali di queste continuate tirannidi, battendo, ferendo, stroppiando gli huomini del commune, gettando le porte delle case a terra, violando le vergini et ammazzando chi si oppone ai loro sregolati appetiti, s’hanno acquistato una così formidabile maggioranza, che non è cosa che possa esser loro, con sicurtà della vita, negata, né delitto che ardiscano gli offesi manifestar alla giustitia.
Et manifestandolo non è testimonio che ne voglia far fede et se la fanno sono feriti a morte. Et finalmente non è giudice che voglia o possa giudicarla.
Per queste antiche tirannidi, capitati già gli huomini del commune ad una ingiusta e disperata rabbia, si condussero a far uno gravissimo eccesso, brusiando alcuni di essi cittadini in una colombara, dove s’erano salvati, crudelmente et tumultuariamente ammazzandoli.
Per lo qual delitto furno e di morte e di esilio castigati.
Il qual delitto, benchè fusse detestato dalla ragione e dal giuditio, non è però che non ne fusse causa una continuata et ostinata tirannide di questi ingiuriosi cittadini, i quali non volendo imparar dalla mansuetudine di questo paterno et mansueto governo, col trattar detti huomini del commune predetto come schiavi, turchi, nemici et infedeli, gli condussero questa fiera disperatione.
Dopo così lunghi mali volse la Serenità Vostra pur mettere qualche freno ai delinquenti et a comparitione d’essi huomini del comune, perché pure seguitavano l’istesse tirannidi et ingiurie, col suo eccelentissimo Consiglio di Quaranta prese parte penale per la sicurezza di esse povere et afflitte persone.
Ma ogni freno dell’autorità publica è stato infruttuoso, perché il signor Silvio Muzzan et Gierolimo suo nipote, con altri, hanno doppo detta parte, con schioppi, battuto et guasto vicino a morte Jseppo Della Fina, il quale per paura non ardì querelare.
Il signor Alfonso Muzan battè e malamente trattò Zuan Maria Crosara dell’istesso comune, il quale tuttavia, per paura, non produsse querela.
Il signor Giacomo Cavazzolo, entrato in tempo di notte nella propria habitatione di Battista Pontello, con bastonate et battiture lo condusse in pericolo di morte et querelando lo infelice fu smarrita la querela et finalmente si tacque.
Il detto Cavazzolo et il signor Francesco Muzan, già poco tempo fu di notte, diedero delle ferite a Bortolamio Rosega, con paura e con danaro lo fecero acquetare.
Il signor Gierolamo Christoforo suo fratello et il conte Silla suo barba Muzani, non havendo Jseppo Fina così tosto consentito a farli la pace, gli diedero novamente delli schioppi nella vita et furno vicini all’ammazzarlo, se non si salvava con la fuga.
Il signor Cirro Muzan con crudelissime battiture date al figliolo di Alvise Capelletto lo guastò a morte.
Oltre le quali tirannidi, ingiurie, guastamento d’animali di notte e mille altre insolenze, è riddotto quel paese a servitù incomparabile.
Hora, essendo ultimamente successo che il signor Gierolamo Muzano, bandito per sforzo dallo eccelso Consiglio di dieci, in loco di andar a soi confini, è venuto in esso vicariato di Malo, essendo stato alloggiato e tenuto in casa dal signor Silla Muzan suo barba, instigatore et consultore de tutti i delitti; e con ogni ingiuriosa libertà, accompagnato dal signor Leonida Piovene, dal signor Giacomo Cavazzolo et altri armati di schioppi e picche, sopra la piazza publica di quel loco ferirono di picca nelli fianchi, nel petto e nella testa un Zilio di Zilii, pur del medesimo luogo et la causa di tal ferite è stata per esser esso, in obedienza della giustitia, stato esaminato nel caso della morte del quondam cavaliero Pasqualino, pur di Malo, della qual furno similmente, esso Muzano et Cavazzolo, imputati.
Et vedendo che non è alcun freno alla rabbia di questi, né delle leggi d’Iddio, né della publica autorità.
Et non volendo, né dovendo esso commune offender con nissuno suo atto la debita obedienza della Serenità Vostra, et essendo già fatti infiniti et insopportabili così fatte oppressioni e dalla giustitia di Vicenza sapendo non poter trovar difesa, eletto me supplicante dalli intervenienti di esso commune, il quale non è potuto esser fatto sicuro dalla parte dell’illustrissimo Consiglio di Quaranta, supplica Vostra Serenità a guardar sopra noi innocenti creature con l’occhio consueto della sua carità et quanto siamo minuti et più impotenti, tanto più paternalmente protegerne con la sua autorità, sì che a qualche tempo, sotto questo santo governo, siano difese tante anime innocenti, che dalla somma bontà d’Iddio sono tanto raccomandate alla giustitia et protettione della Serenità Vostra.
Alla quale riverenti e devoti s’inchinamo et raccomandiamo.
1579 8 decembre
Che alla sopradetta supplicatione rispondi il podestà di Vicenza…
(filza 333)