Lo schema sottostante è necessariamente indicativo ed esprime la complessità di quello che ancora è assai arduo definire processo. Si trattava infatti di un percorso che poteva, in molti casi, essere interrotto da accordi tra le parti e dagli atti di pace. Tale percorso prevedeva istituti come la pieggeria (sorta di cauzione) e la difesa per patrem, che sottolineavano come il rito fosse concepito essenzialmente come un vero e proprio scontro. La dimensione giurisdizionale degli antichi riti processuali è comunque attestata dall’assoluta preminenza della scrittura. Ogni atto doveva essere messo per iscritto. La stessa arringa pronunciata oralmente dall’avvocato difensore era spesso messa per iscritto in una scrittura d’allegazione.
La prima fase del processo, definita processo informativo era gestita esclusivamente dal giudice, il quale procedeva ex-officio anche in presenza di una denuncia o di una querela. Si trattava di una fase importante in cui la potenziale dimensione pubblica del tribunale poteva esprimersi secondo diverse gradazioni. Essa serviva per raccogliere le necessarie informazioni sul delito di cui si aveva notizia. In realtà la stessa distinzione tra inquisizione generale (volta cioè ad accertare l’esistenza di un delitto) e inquisizione speciale (diretta a procedere contro una determinata persona) permetteva una larga discrezionalità al giudice. E così per le diverse forme di procedura o lo stesso proclama (una sorta di citazione solenne) o, ancora, l’eventuale decreto di arresto (retenzione). Erano questi ultimi atti, infatti, a incidere sulle successive fasi del processo. Lo schema riproduce un percorso standard che si svolgeva generalmente nei confronti di un imputato (reo) che si era presentato. Nel caso di un imputato arrestato la procedura seguita subiva alcune limitazioni che incidevano soprattutto nella cosiddetta fase difensiva.
La seconda fase del processo (processo offensivo) era costituito essenzialmente dall’interrogatorio dell’imputato. In realtà era proprio in questa fase che faceva capolino la figura dell’avvocato difensore, il quale accompagnava l’imputato, per richiederne, dopo l’interrogatorio (cui non poteva assistere) la piezzaria e cioè il rilascio mediante una fideiussione e la garanzia che si sarebbe presentato al momento della sentenza. Era lo stesso avvocato a costituirsi, molto spesso, come fideiussore. Il tribunale stabiliva l’ammontare di una certa somma di denaro a garanzia della fideiussione. L’interrogatorio dell’imputato (costituto de plano) doveva eminentemente servire a raccogliere ulteriori informazioni e la versione dei fatti fornita dallo stesso imputato. I criminalisti prevedevano l’applicazione della tortura se il reo si rifiutava di fornire le proprie generalità. L’interrogatorio doveva essere condotto in forma piana, cioè senza il ricorso da parte del gudice di alcun accorgimento o inganno nei confronti dell’imputato. Sarà solo con la nuova giustizia punitiva che si verrà a costituire una nuova forma di interrogatorio (il cosiddetto costituto opposizionale) volto a costringere il reo ad affermare la verità. La nuova forma di costituto esprimeva in realtà la nascita di una vera e propria inchiesta, che poco ha da condividere con il modo di procedere tradizionale (cfr. le mie osservazioni in Dall’ordine della pace…). Dopo il costituto de plano il giudice solitamente comunicava alla parte offesa il suo contenuto, per accertare se quest’ultima aveva qualcosa da obiettare. In caso affermativo procedeva ad un nuovo costituto in cui il giudice riportava al reo quanto la parte offesa aveva aggiunto. Dopo il costituto de plano l’avvocato difensore chiedeva il rilascio del suo cliente tramite una piezaria: ma questo era un atto che già apriva alla fase successiva.
La terza fase (processo difensivo) si apriva, dopo la piezaria e il rilascio del reo, dall’intimazione rivolta dal giudice a quest’ultimo di difendersi. Era da questo momento che gli avvocati di entrambe le parti giocavano un ruolo decisivo… (continua)