11.1 La supplica di Zanzanù

La supplica di Giovanni Beatrice inoltrata dalla comunità di Gargnano al Provveditore e capitano di Salò e da questi ai Capi del Consiglio dei dieci costituisce una sorta di ‘autobiografia’ del famoso fuorilegge, in una fase decisiva della sua vita. In un certo senso è pure una rappresentazione del mito che da tempo l’accompagna. Se solo l’accostiamo al famoso dialogo tra il fuorilegge catalano Rocaguinarda e don Chisciotte possiamo notare le sorprendenti assonanze tra i due testi, anche se sappiamo che i due banditi ebbero destini assai diversi. Emergono il tema della pace infranta, della vendetta perseguita come richiamo ineliminabile e, soprattutto, l’impossibilità di un ritorno alla vita normale.

SUPPLICA DI GIOVANNI BEATRICE DETTO ZANON (ZANZANU’)

PRESENTATA AI CAPI DEL CONSIGLIO DEI DIECI NEL GIUGNO DEL 1616

(inviata dal Provveditore di Salò e Capitano della Riviera in allegato al suo dispaccio  del 15 giugno 1616)

Serenissimo Principe

Eccellentissimi Signori

 

Il padre di me Giovanni Zannoni della Riviera di Salò, qual faceva ostaria in quella terra, passo ordinario di Alemagna per quelli che discendono per il lago, e dalla quale traheva il vitto di tutta la sua povera famiglia, mentre egli viveva quieto, fondato una solenne pace con giuramento firmata, sopra il sacramento dell’altare, fu empiamente trucidato da alcun della Riviera.

Per questa sì inhumana e barbara attione, dubitando io Giovanni sudetto di non esser sicuro dalla fellonia d’huomini sì crudeli, indotto dalla disperatione, risolsi di vendicare sì grave offesa e d’assicurare la propria vita, presa la via dell’armi, vendicai con morti d’inimici la perdita del padre et la privatione del modo di sostener la famiglia mia; per le quali operationi restai bandito e continuandosi da nostri inimici le persecutioni, anch’io rispondendo con nuove vendette, tirando uno dietro all’altro, hebbi gran numero di bandi, non solo con l’auttorità dell’eccelso Consiglio di dieci, ma uno del medesimo Consiglio.

Confesso esser reo di molti bandi, tutti però per delitti privati et niuno per minima attinentia di cose publiche e di stato, né con conditione escluso dalla presente parte, né meno con carico di risarcir alcuno, ma siami ben anco lecito il dire che, essendo stati commessi molti eccessi da altri sotto il nome mio, di quelli essendo fuori di speranza di potermi liberare, già mai non ho curato di scolparmi.

Et perché Iddio che vidde l’intimo del mio core et conobbe le violenti cause che a certi eccessi mi condussero, mi providdi di rifugio sicuro in sì angusta necessità inspirando Principe grande d’Italia farmi salvocondotto et darmi carico d’alcune sue militie, dal quale ricevo tanto di stipendio, con che commodamente mantengo la mia famiglia.

Et se bene potrei contentarmi del presente stato, fuori d’ogni pericolo, nondimeno vivendo in me l’antica e non mai per alcun accidente interrotta devotione verso il mio naturale Principe, il quale conosco hora travagliare per così giusta e necessaria guerra, mi duole in estremo di non esser habile a poter sacrificar la vita e il sangue mio e tutto quel poco di forza et ingegno che mi ritrovo in servitio di così benigno Principe, se dalla sua magnanime e cortese mano non vengo gratiato mediante la general legge e plenaria indulgenza  che la sua paterna charità ha promulgata, acciò gli smarriti figliuoli possino ricercare la perduta gratia.

Laonde, io Giovanni sudetto supplico humilmente Vostra Sublimità si degni di mirare questo mio sviscerato affetto con occhio di pietà, condonando le pene de bandi ed errori commessi sino al giorno della publicatione della presente parte et anco far gratia alla moglie mia bandita per 20 anni per cagione di servitio a me prestato, rendendomi a questo modo habile a dimostrar con gli effetti l’ardente mia volontà di poter, sì come son stato pradigo della vita ben mille volte in mezo d’archibugiate per inimicitie provate, così medemamente conservar l’istessa gloriosamente nel suo servitio.

Perciò che io mi eshibisco di venir a servire dove piacerà alla Serenità Vostra destinarmi e ne’ più importanti pericoli con sei huomini di stato alieno a proprie spese per sei mesi e con la persona mia poi per qualche altro tempo condecente.

Supplicandola di non haver riguardo alla picciola offerta, la qual deriva da persona che non ha nulla a questo mondo, sendomi molte volte stati confiscati li beni e privato della dote della moglie, perciò che questa offerta è superiore di gran lunga alle mie forze, né potrebbe sostener la sudetta spesa se non per la riputatione acquistatami in tante e sì diverse fortune con l’armi in mano, dovendo la Serenità Vostra persuadersi che non pensiero di recuperar beni, né desiderio di riveder la patria, né consolatione d’esser visto da parenti, non ambitione d’esser nel paese salutato da amici, ma solo derivare questa mia ardente volontà da vero zelo di emendar delli passati errori et d’interna devotione di meritare col pretio della vita l’honore della buona gratia del suo principe naturale, anteponendo alla tranquilla continuatione del mio incarico nello stato dove mi ritrovo l’incertezza della vita nella guerra della Serenità Vostra, alla quale riverentemente m’inchino. Gratia.

 

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