14.2 Il provveditore Leonardo Mocenigo

IL PROVVEDITORE LEONARDO MOCENIGO A SALO (autunno 1610: scena centrale)

Proveniente da Brescia, il Provveditore ed inquisitore Leonardo Mocenigo, con al seguito un piccolo esercito, interverrà con proclami e sentenze per debellare il banditismo. La sua azione è dettagliatamente registrata nei suoi dispacci, ma anche e soprattutto dalle numerose sentenze che pronunciò contro i ‘fautori e ricettatori’ dei banditi. In realtà, con la sua azione repressiva, che tra l’altro registra pure l’abbattimento della sua casa e il bando della moglie, sembra delineare i primi tratti del mito di Zanzanù.

INDICE DEL CAPITOLO

 

  1. Cento corsi e trenta cappelletti
  2. Il falso testimone
  3. La spia degli Zannoni
  4. Il fautore dei banditi
  5. La casa di Zanzanù
  6. Fra Tiziano da Gargnano
  7. Fautori e accompagnatori dei banditi
  8. La donna di Zanzanù
  9. Altri fautori degli Zannoni
  10. La donna di Bernardo Ca’ De Dio
  11. Nel consiglio della comunità di Salò (7 novembre 1610)
  12. Proclama per la destruttione dei banditi della Riviera
  13. Quattro dispacci di Leonardo Mocenigo
  14. Campane a martello (31 dicembre 1610)
  15. La relazione al Senato di Leonardo Mocenigo
  16. La rabbia di Zanzanù

 

  1. Cento corsi e trenta cappelletti

L’arrivo del Provveditore Inquisitore Mocenigo ha evidentemente anche un risvolto economico-finanziario. La comunità di Salò, cui il Provveditore della Riviera ha chiesto di affrontare le spese di alloggio dei soldati che accompagnano il Mocenigo, accetta la cosa a malincuore…

Il consiglio della comunità di Salò il 26 settembre deliberò quanto segue:

Letto il comandamento dell’illustrissimo signor Proveditor mandato a questo spettabile comune, over suo magnifico console per la provisione dell’alloggio di cento corsi et trenta capeletti che hanno da venire con l’illustrissimo et eccelentissimo signor leonardo Mozanigo Proveditor generale et essendo sta eletti sei cittadini dal Consiglio generale della Magnifica comunità a proveder a tutti quello che farà bisogno per la venuta di sua eccellenza con omnimoda libertà, va parte per il spettabile signor console che sia per gli spettabili consoli et sindici fatto officio con l’illustrissimo signor Proveditor nostro che si vogli rimovere da tal comandamento fatto ex-officio da sua signoria illustrissima per non adossare a questo comune l’agravio che tocca ad altri….

Così consigliando tutti li consiglieri, si partirono il spettabile console et sindici et andorno a far l’officio con sua signoria illustrissima, restando li altri consiglieri nella sala ad aspettarli. Li quali, puocho dopo tornorno et riferirno che l’illustrissimo signor Proveditore intende che si facci la detta provisione da esser pagata per la spesa per la magnifica comunità, offerendosi detto spettabile console di servire di cecchini numero centocinquanta. La qual relatione stante fu posta parte che siano eletti cinque del corpo di questo spettabile consiglio quali habbino carico di far detta provisione et procurar che sia pagata detta spesa per la magnifica comunità a nome et spesa di questo spettabile comune con ominimoda libertà…

 

  1. Il falso testimone

Tra l’ottobre e il novembre del 1610 Leonardo Mocenigo pronunciò alcune sentenze contro coloro che manifestamente sembravano aver aiutato o collaborato con la banda degli Zannoni e altri banditi.

Nel nome del Signor Iddio

Noi Leonardo Mocenigo per la Serenissima Signoria di Venetia Proveditor et Inquisitore nello stato di Terraferma, di qua dal Mincio, con auttorità dell’eccelentissimo Senato, venendo all’espeditione delli sottoscritti rei, così dicemo et pronunciamo.

Giacomo Nicoletti ditto Lovatello, figliolo di Giovan Maria da Cisan

Zampiero Gerardo ditto Bacolo da Portese

Adauto quondam Bernardino Valeran di Santo Felice

Zuanne Taietto ditto dei Zannini

Contra i quali è stato proceduto prima per l’illustrissimo reggimento di questa Riviera et poi per noi con l’ auttorità che tenimo. Per quello che li detti Zampiero et il quondam Zambattista Del Cappa, mal affetti a pre Bortolamio Trambaion, accompagnatisi con li detti Giacomo, Adauto et Zuanne, lo assalisero al luogo della Sabionera fuori della terra di San Felice a 17 di gennaro prossimo passato, prendendolo Zampiero nel cavezzo, dopo haverli detto alcune parole. Et di subito Giacomo Lovatello scaricò contra esso prete un archibuso lungo, del quale egli era armato per ammazzarlo, cogliendolo nella coscia destra con pericolo della vita.

I quali, essendosi volontariamente presentati alle prigioni, ditto Giacomo, huomo di pessima conditione et fama, avezzo a sceleratissime operationi, fattioso et perturbator della publica quiete et sicurtà, et solito a farsi essaminare nei processi criminali come falso testimonio et ad estorquer denari con questi indiretti et repprobati mezi, essendo così presentato, si fece lecito con occasione dell’homicidio commesso nella persona dell’infelice signor cavalier Ganasson, già podestà di questa Riviera, atterrire questo et quello che l’haverebbe fatto notar o dipenar dalla polizza dei rei. Facendosi prometter una buona summa de danari come nel processo.

Intimati a difendersi hanno detto et introdotto tutto quello che hanno voluto. Onde considerato quanto ci è parso degno di consideratione sententiamo che

Giacomo Nicoletti ditto Lovatello sopradetto, sia condotto al luogo solito della giustitia, dove per il ministro di quella sopra un’eminente forca sia impiccato per la gola, sì che muora. Et il cadavero sia portato et appeso fuori al luogo solito, dove habbi a stare fino alla consummatione.

Zampiero Gerardo sia confinato in prigione serrata per anno uno continuo, dalla quale fuggendo sia et s’intendi bandito da Salò et Riviera, Brescia et Brescian et per quindeci miglia oltre li confini, per anni cinque, nel qual tempo se rotti li confini venirà nelle forze stia in prigione serato per anno uno, con taglia alli captori de lire dusento de suoi beni, se ne saranno, se non dei denari a qusto deputati. Et ciò tante volte quante contrafarà.

Adauto Valaran et

Zuanne Taietto

Siano rilasciati.

Il venerdì 15 di ottobre 1610 in Salò

Fu publicata la soprascritta sentenza sotto la loggia publica, luogo solito, sonate prima la campana dell’arengo, due trombe e due tamburi, presente gran moltitudine di persone et specialmente l’eccellente d . Paolo Locatello, d. Zorzi Manin, d. Alvise Maggio e messer Domenego Ballottin, testimoni.

Il sabbato 16 ditto.

Riferì Paolo Chieregato cavalier di sua eccellenza, questa mattina haver fatta esseguir sopra la piazza di Salò la sentenza capitale contra Giacomo Lovatello oltrascritto et haver poi fatto portar et appender il suo cadavero fuori al luogo solito.

  1. La spia degli Zannoni

Noi Leonardo Mocenigo per la Serenissima Signoria di Venetia…

Lorenzo figliuolo di Donà Pattuzzo ditto il Donatello da Limon.

Contra il quale habbiamo proceduto sopra di ciò che ditto Lorenzo, solito a caminar da molti mesi in qua coi Zanoni et altri scelleratissimi banditi, la notte de 25 agosto 1608, intorno le due hore et meza, accompagnato da persone alla giustitia incognite, habbi ferito d’arcobugiata Oliviero Di Leonetti da Trimosigno in diverse parti della vita, mentre che egli si ritrovava sopra la strada in contrada della Colombera del ditto commune, che andava verso casa sua.

Et la sera de 13 febraro 1609 habbi fatto la spia ai detti Zanoni et seguaci, che sbararono cinque archibugiate contra il medesimo Oliviero nel ditto commune, da una delle quali egli fu colto nel brazzo destro.

Et oltre di ciò, perseverando ditto Lorenzo nelle sue male operationi, la sera de dieci febraro prossimo passato, circa un’hora, habbi ammazzato pur di arcobugiata Gabriele Lionesio, fratello del ditto Oliviero, cogliendolo insidiosamente, mentre che il misero si ritrovava sopra la strada vicino a casa sua, nell’istesso comune di Trimosegno.

Il qual Lorenzo, il sabato 9 del mese corrente, armato d’archibuso longo et di terzarolo prohibito, sia andato alla casa di Battista dei Perini di esso commune et violentemente gli habbi tolto et portato via un arcobuso et sicome nel processo.

Proclamato d’ordine nostro alle prigioni, egli consapevole delle sue colpe è restato contumace. Però condannamo

Lorenzo Patuzzo ditto Donatello sopradetto

Che sia perpetuamente bandito da Salò et Riviera et da tutte le altre città, terre et luoghi del Serenssimo Dominio, terrestri et maritimi, navili armati et disarmati, et anco dall’inclita città di Venetia et Dogado. Et se in alcun tempo sarà preso dentro li confini et presentato nelle forze sia condotto al luogo solito della giustitia, dove per il ministro di quella, sopra un’eminente forca sia impiccato per la gola sì che muora, con taglia a chi lo prenderà et consignerà nelle forze della giustitia, overo ammazzerà, fatta legitima fede dell’interfettione, de lire mille dentro li confini et de lire mille et cinquecento per cento miglia oltre li confini in terre aliene, dei suoi beni se ne saranno, i quali tutti siano et si intendano confiscati et il tratto di essi sia intieramente della Serenissima Signoria, se non dei denari a questo deputati.

  1. Il fautore dei banditi

Marcantonio di Pasquin di Maria della Terra di S. Felice

Contro il quale habbiamo proceduto sopra di ciò che, in sprezzo delle leggi, s’habbi fatto lecito tener comercio con Martin Previdale et altri sceleratissimi banditi, ricettandoli et alloggiandoli l’estade passata più volte in una casa in San Felice di raggion di Lugretia di Maria et favorendoli come nel processo.

Proclamato alle prigioni di ordine nostro è restato contumace.

Però condanniamo

Marcantonio de Pasquin sopradetto che sia perpetuamente bandito da Salò et Riviera et da tutte le altre città, terre et luoghi del Serenissimo Dominio, terrestri et maritimi, navili armati et disarmati et anco dall’inclita città di Venetia et Dogado. Et se in alcun tempo rotti li confini sarà preso et presentato nelle forze, sia condotto al luogo solito della giustitia, dove per il ministro di quella sopra un’eminente forca sia impiccato per la gola, sì che mora. Con taglia ai captori o interfettori dentro i confini de lir e seicento del suoi beni, i qua

li siano et s’intendano confiscati et il tratto di essi sia intieramente della Serenissima Signoria, se non dei denari a questo deputati.

Il martedì venti sei di ottobre 1610 in Salò

Furono publicate le soprascritte sentenze sotto la loggia publica, luogo solito, sonate prima la campana dell’arengo, due trombe et due tamburi, presente gran moltitudine….

 

  1. La casa di Zanzanù

Adì detto

Il console di Gargnano riportò il seguente mandato con nota particolare sotto d’esso della intiera essecutione.

Leonardo Mocenigo provveditor et inquisitore in Terraferma

Per debita essecutione della sentenza fatta dall’eccelso Consiglio de dieci contra Zuanne Zannon da Gargnano, sceleratissimo bandito, sotto dì 4 agosto prossimo passato a noi mandata dagli eccelentissimi signori Capi con lettere de 19 instante, commettimo per tenor del presente al consule et huomini del commune di Gargnano che sotto quelle pene maggiori che a noi pareranno convenienti, debbino posdimani che serà lunedì gettare a terra dalle fondamenta et spianare la casa che era del detto Zuanne, posta nella detta terra, in contrada di San Francesco, confina con la strada commune, Zuan Francesco Fuoco, Jseppo Cattaneo et Zuanne Battagiola. La qual casa spianata non possi in alcun tempo mai, chi si voglia, fabricare nell’istesso luogo, sotto quelle più gravi pene che pareranno alla giustitia…

 

In Salò a 23 di ottobre 1610

Lunardo Mocenigo proveditor et inquisitor in Terraferma

Hieronimo Diviaco cancelliere

Il luni 25 ottobrio 1610

Per debita et riverente essecutione del sudetto mandato di Sua Eccellenza illustrissima dalla mattina alla sera fu spiantata la sudetta casa del sudetto sceleratissimo Zuanne Zannone bandito, posta in Gargnano, nominata in esso mandato, dalli fondamenti et fu il tutto buttato giù a fraccasso et abbruggiati li legnami in publico. Et vi sono state lasciate solo due terzere o piane che puntano nelli muri delle case dei vicini, per beneficio delle loro case, fatto così giudicio esser bene per mastro Benetto Moro, mastro Antonio De Franceschi et mastro Antonio Delaguardo muratori et Domenego Del Tello; et fatto de più commandamento che alcuno non debba levar cosa alcuna, né portar via della materia di detta casa, sotto quelle pene che pareranno a sua eccellenza illustrissima, sino ad altro suo ordine. Et il tutto fu fatto alla presenza di domino Jseppo Zuccadello console et delli conseglieri del detto commune.

Io Nicolò Merano figliolo quondam d. Francesco da Viavedro in Boiago, nodaro pu blico del commune di Gargnano ecc.

  1. Fra Tiziano da Gargnano

Noi Leonardo Mocenigo per la Serenissima Signoria di Venetia ecc. provveditor et inquisitor nello stato di Terraferma di qua del Mincio, sopra il quieto et pacifico vivere.

Essendo informato che fra Titiano Dei Antoni da Gargnano, dei Minori conventuali di San Francesco, si è fatto lecito, contra le leggi, con perniciosissimo essempio et scandalo, varie et diverse volte, da molti mesi in qua, favorir et anco ricettar nel monasterio di Gargnano di questa Riviera, li Zannoni di quella terra et altri sceleratissimi banditi, et che per questa causa è stato anco rimosso da quel monasterio et mandato in stato alieno dal pre reverendo Generale della sua religione.

Però per rimover ogni maggior scandalo, per tenor del presente, con l’auttorità che tenimo dall’ecc. Senato, faciamo sapere al reverendo pre guardiano del detto monasterio che a nome nostro debbi commettere al sudetto fra Titiano, ovunque egli si ritrova, che non possa, né debba sotto qualsivoglia pretesto, ritornar più a Gargnano, né in alcun altro luogo di questo stato, senza espressa licenza di Sua Serenistà, sotto quelle pene maggiori anco della vita che pareranno convenir alla sua disobedienza et transgressione, ecc.

In Salò il dì 27 ottobre 1610

Adì detto

Fatto venir alla presenza del ditto eccelentissimo signor Proveditor et Inquisitor il reverendo pre fra Lunardo Moro guardiano nel monasterio di Gargnano, li fu consignato il soprascritto mandato, con ordine espresso che debbi essequirlo.

Adì primo novembre

Il padre guardiano sopradetto, per uno dei suoi frati fece presentar a Sua eccellenza una lettera responsiva scrittagli da fra Titian sudetto in Riva a 29 di ottobre prossimo passato d’haver ricevuto il mandato et che non mancherà d’ubedirlo, la qual lettera è stata posta in filza.

 

 

 

  • Fautori e accompagnatori dei banditi

 

Noi Leonardo Mocenigo per la Serenissima Signoria di Venetia…

Bortolamio figliuolo di Piero Panzoldo da Tusculano, fornaro in Maderno.

Carcerato per imputatione d’haver alloggiati et favoriti banditi come nel processo; considerate le sue difese, con quanto era a lui opposto, sententiamo che detto Bortolamio sia rilasciato.

Vicenzo del Vecchio detto Perinello o Passolin quondam Matthio da Gargnan.

Denunciato come huomo di mala qualità che habbi favoriti et accompagnati li banditi di questa Riviera et di haver havuto parte alla morte di Vittoria sua cognata, era moglie di Ioseffo suo fratello et sicome nel processo.

Retento, costituito et intimato a difendersi ha detto quanto ha voluto. Però per le cose che ci constano condannamo

Vicenzo Del Vecchio soprascritto che sia mandato a servire sopra le galee de condananti per huomo da remo con ferri a piedi per anni cinque continui et non essendo habile star debba anni dieci in priggione serrata, dalla quale fuggendo sia bandito in perpetuo da Salò et Riviera, brescia et Brescian et per quindici miglia oltre li confini et dall’inclita cvittà di Venetia et Dogado et venendo preso dentro li confini debba finire la sua vita in prigione serrata con taglia ai captori de lire trecento de suoi beni se ne saranno, senon de denari a questo deputati.

Francesco Darmian quondam Zuan Antonio da Fornico detto della frenetta, solito habitar in Gargnano

Retento et denunciato come seguace et spia de banditi et che con loro habbi havuto mano in furti et sicome nel processo, il quale da noi considerato, condannamo come esso

Francesco Darmian detto della Frenetta, che sia mandato a servir sopra le galee de condennati per hiomo da remo con ferri ai piedi per anni due et in caso d’inhabilità stia in prigione serrato per anno uno et poi sia bandito….

Iseppo figliolo di Zuanne Sette et

Giacomo quondam Matthio Crescin

da Maderno

Contra li quali habbiamo proceduto sopra ciò che siano mal viventi, vagabondi et perturbatori della quiete, portando giorno et notte archibusi anco prohibiti, havendo nella terra di madenro usate insolenze, violenze, sforzi et furti, alcuna volta travestiti et con barbe postizze a giorni passati et per avanti nel modo et con quelle pessime qualità che appaiono nel processo.

Proclamati di ordine nostro alle prigioni fino a quinfice di ottobre sono rimasti absenti et contiumaci. Però condannamo li sipradetti

Iseppo di Zuanne Sette et

Giacomo Crescin

Che siano perpetuamente banditi da Salò et Riviera et da tutte le altre città, terre et luoghi del Serenissimo Dominio, terrestri et maritimi….

 

  1. La donna di Zanzanù

Cattarina moglie di Zuanne Beatrice detto Zannon da Gargnan, sceleratissimo bandito. Carcerata d’ordine nostro, come quella che varie volte et diverse volte con pessimo essempio et scandalo, habbi datto ricetto al marito, non obstanti li gravissimi bandi di lui. Et sia anco andata a ritrovarlo dentro li confini, sumministrandogli aiuto et fomentando le sue temerarie transgressioni. Constituita et intimata a difendersi, non ha saputo che introdurre. Considerato quanto ci è parso degno di consideratione, et specialmente la sua gravidanza, condannamo Cattarina oltrascritta che sia bandita da Salò, Riviera, Brescia et Brescian et da tutte le altre città, terre et luoghi della Serenissima Signoria, dal Mincio in qua, per anni vinti continui, nel qual tempo se sarà presa dentro li confini sia confinata in prigione per anni tre et poi ritorni al bando, il quale allhora debbi principiar, con taglia alli captori de lire trecento de suoi beni se ne saranno, senon dei denari a questo deputati. Et ciò tante volte quante contrafarà.

………..
………..

 

 

  1. Altri fautori degli Zannoni

Alvise Mazo figliuolo di domino Francesco da Salò

Denunciato et inquisito come principal fautore de Zanoni et compagni sceleratissimi banditi di questa Riviera, havendogli da alcuni anni in qua favoriti in diverse maniere et recettati anco ad una cura che egli tiene ad affitto a Maderno, con publico scandalo et pessimo essempio.

Et di più perché habbi havuto ardire da molti mesi in qua far stronzar gran summa di monete d’oro et d’argento, quelle dispensando et spendendo come a lui è tornato più commodo et sicome nel processo.

Carcerato di ordine nostro, constituito et intimato a difendersi ha detto et introdotto molte cose con essami de testimoni et di publiche scritture. Onde il tutto maturamente considerato condannamo il detto

Alvise Mazo sia confinato in una delle prigioni forti di Venetia alla luce per anni sette continui, dalla quale fuggendo sia et s’intenda perpetuamente bandito….

Zuan Piero Giancina

Bortolamio Donà

Bressanin Guizzeroto in Salò

Denuciati et inquisiti come quelli che s’habbino fatto lecito favorire in varie maniere et anco ricettar et alloggiare diversi sceleratissimi banditi di questa Riviera, et specialmente Zuanne Beatrice detto Zannon, Bernardo Bernardinello detto Cà di Dio et Martin Previdale. Et sicome nel processo.

Ritenuti Zuan Piero et Bortolamio e proclamato Bressanino si presentò volontariamente et hanno tutti introdotte quelle difese che hanno voluto, le quali da noi considerate col processo offensivo, sententiamo che li soprascritti

Zuan Piero Grancina

Bortolamio Donà

Bresanin Guizzeroto

Siano confinati in una delle pregioni forti di Venetia alla luce, per anni cinque continui, dalla quale fuggendo sia et s’intendi cadauno di loro perpetuamente bandito da Salò et Riviera et da tutte le altre città, terre et luoghi del Serenissimo Dominio, terrestri et maritimi, navili armati et disarmati et anco dall’inclita città di dì Venetia et Dogado et in tal caso tutti li loro beni siano confiscati et il tratto d’essi sia intieramente della Serenissima Signoria. Et essendo preso in alcun tempo dentro li confini et presentato nelle forze debba fernire la sua vita in una delle dette prigioni. Con taglia alli captori o interfettori dentro li confini de lire seicento per cadauno dei suoi beni se ne saranno, se non dei denari a questo deputati.

Antonio dei Gobbi detto Corsetto quondam Francesco, acconcia scarpe in Salò

Inquisito come persona di mala fama che s’habbi fatto lecito favorir Bernardo Cà di Dio et compagni, portando lettere di essi et ricevendo denari fatti trare dalle mani d’alcuni mercanti, come nel processo.

Carcerato et intimato a difendersi, ha detto quanto ha voluto, però considerate le sue colpe sententiamo che il detto

Antonio Corsetto

Sia mandato a servir sopra le galee dei condennati per huomo da remo con ferri ai piedi per anni due et in caso d’inhabilità stia in prigione serrata per mesi sei et poi sia bandito da Salò, Riviera, Brescia et Brescian et per quindeci miglia oltre li confini per anni cinque continui, nel qual tempo venendo preso dentro li confini stia in prigione come di sopra et poi ritorni al bando, che allhora debba principiare. Con taglia ai captori de lire cento. Et questo tante volte quante contrafarà.

Il mercordì 3 di novembre 1610 in Salò

Furno publicate le soprascritte sentenze sotto la loggia publica, luogo solito, sonata prima la campana dell’arengo, due trombe et due tamburi, presente gran multitudine di persone et spetialmente l’eccellente d. Steffano Pace, l’eccellente d. Pietro Bonfadio et il signor Silvio Roveglio, testimoni.

Noi Leonardo Mocenigo per la Serenissima Signoria di Venetia ecc. … procedendo all’espeditione delli sottoscritti dicemo et pronunciamo nel modo che segue

Giovan Battista Lafranco, orefice in Salò

Inquisito perché egli, persona di mala conditione et fama, s’habbi fatto lecito contra la forma delle leggi, tenire stretto commercio coi Zannoni et compagni, famosi banditi della Riviera. Et di più, da molti mesi in qua, stronzar gran summa di monete d’oro et d’argento. Il qual Giovan Battista all’arrivo nostro in Salò si era absentato et sicome nel processo.

Proclamato di ordine nostro in quella terra, a due del mese corrente, è restato absente et contumace. Però condannamo

Giovan Battista Lafranco sopradetto

Che sia bandito perpetuamente da Salò et Riviera et da tutte le altre città, terre et luoghi del Serenissimo Dominio, terrestri et maritimi, navili armati et disarmati et anco dall’inclita città di Venetia et Dogado. Et se in alcun tempo, rotti li confini, pervenirà nelle forze, sia mandato a servire sopra le galee dei condennati per huomo da remo con ferri ai piedi per anni dieci continui. Et in caso d’inhabilità finisca la sua vita in una prigion serrata, con taglia ai captori de lire trecento dei suoi beni se ne saranno, se non dei danari a questo deputati.

 

 

  1. La donna di Bernardo Ca’ De Dio

Dominica moglie di Bernardo Bernardinello detto Cá di Dio, sceleratissimo bandito solita habitare in Salò

Inquisita sopra di ciò che ella non solo habbi più volte ricettato il marito bandito et sumministratigli favori et indrizzi, fomentandolo maggiormente a star dentro li confin et a perseverar nelle sue iniquissime operationi, ma anco habbi havuto ardire di ricever danari estorti da questo et da quello con lettere di minaccie del marito, et con altri mezi violenti et tirannici. Et sicome nel processo.

Proclamata di ordine nostro in Salò a due del mese corrente è rimasta assente et contumace. Però condannamo

Dominica Cá di Dio sopradetta

Che sia bandita da Salò, Riviera, Brescia et Brescian et da tutte le altre città, terre et luoghi della Serenissima Signoria dal Mincio in qua, per anni vinti continui. Nel qual tempo se sarà presa dentro li confini sia confinata in prigione per anni tre et poi ritorni al bando, il quale allhora debbi principiare.

Con taglia ai captori de lire trecento dei suoi beni se ne saranno, senon dei denari a questo deputati. Et ciò tante volte quante contrafarà.

1610 a 13 di novembre in Brescia

Furno publicate le soprascritte sentenze bannitorie sotto la logia solita, sonate prima la campana dell’arengo, due trombe e due tamburri. Presenti molte persone et spetialmente il signor Steffano Buonconvento, messer Christoforo Monti spadaro et messer Pietro Selvin da Brescia.

  1. Nel consiglio della comunità di Salò (7 novembre 1610)

Nel novembre del 1610 lo stato di allerta non sembra essere cessato.

Il 7 novembre 1610 nel consiglio della comunità di Salò:

 

Acciò nell’occasione si possan essequire li ordini et proclami dell’illlustrissimo et eccelentissimo signor Leonardo Mozanigo per la Serenissima Signoria di Venetia Proveditor et Inquisitor sopra la quiete e pacifico vivere nel stato di terraferma di qua dal Mintio, intorno la stirpation de banditi, come in quelli, inherendo anco alla parte di questo spettabile consiglio del primo giugno prossimo passato, il spettabile console per debito dell’officio suo mette parte che in termine di trei giorni li sei eletti al governo et dispensa delli sesanta archibusi di questo spettabile comune debbano con effetto haverli dispensati cadauno nel suo sestiero, ellegendo delli più atti et sufficienti al maneggio di quelli, acciò si possa effettuare quanto vien disposto dal proclama di sua eccellenza illustrissima publicato in Salò al principio del presente mese, dovendo anco oltre quelli che saranno eletti a portar detti archibusi essortar tutte le familie che ponno provedersi di archibusi, almeno uno per familia, per potere quando si sentirà il suon della campana a martello correre per la essecutione di tal proclama contra detti banditi et come in esso. Dovendosi in luoco suo di quelli che habitano nella terra et che possino esser più pronti a tal servicio potendo et dovendo essi sei eletti eleggersi anco un luogotenente per cadauno, acciò in caso d’assenza sua possa satisfare a tal carico…

 

*   12. Proclama per la destruttione dei banditi della Riviera

  1. Quattro dispacci di Leonardo Mocenigo

Nel corso del suo mandato Leonardo Mocenigo informò costantemente il Senato veneziano di quanto andava operando nelle città in cui era stato inviato. Alcuni dispacci concernono direttamente Zanzanù e i suoi seguaci. Dai dispacci del Mocenigo la figura individuale di Zanzanù comincia già ad emergere, anche se ancora si parla della banda Zannoni. Interessanti le osservazioni sugli aiuti che gli erano stati dati da alcune comunità della Riviera e dai frati dell’isola di Garda. Notevole è pure il riferimento all’invio dei soldati corsi, accompagnati dai nemici di Zanzanù.

  1. Da Brescia verso la Riviera del Garda

Serenissimo Principe

Vedendo che col favor del signor Iddio questa città è ridotta a tanta quiete et tranquillità, che questi fedelissimi sudditi della Serenità Vostra non sanno desiderar d’avantaggio, doppo haver ispediti molti et particolarmente Matthio Avogadro, conduttiero de genti d’arme, bandito in contumacia da tutto lo stato della Serenità Vostra, con confiscatione de beni, il tratto de’ quali sia intieramente della cassa dell’eccelso Consiglio de dieci; et confinato d. Sforza Avogadro suo fratello in una delle priggioni delli eccelentissimi signori Capi per anni cinque, havendo anco condennati dieci sette priggioni alla galea, quattrodeci de quali inviai l’altro hieri al clarissimo officio sopra l’Armar, ho deliberato di passar dimattina verso Salò, dovendo prima star due giorni a Gavardo, così ricercato da quei popoli. Et ispeditomi dalla Riviera, dove potrei fermarmi un pezzo per molte denuncie che mi sono state presentate, ritornerò ancora in questa città per dar compimento ad altri processi.

Il che è quanto mi occorre per hora rappresentare alla Serenità Vostra. Gratie.

In Brescia a 6 di ottobre 1610

Lunardo Mocenigo Provveditor et Inquisitor in Terraferma

  1. Il castigo dei cattivi e dei perturbatori della pubblica quiete

Serenissimo Principe

Sono otto giorni che io travaglio in questa Riviera, havendo ritrovato l’illustrissimo signor Provveditor Loredano che con molta prudenza et diligenza s’impiega nella sua carica, mettendo ogni spirito per la distruttione de’ banditi.

Et perché al mio arrivo intesi che la sera precedente alcuni di loro et principalmente Zuanne Zanon, si erano fatti sentire ai confini, verso Riva di Trento, io mandai subito a quella volta una mano de corsi con la scorta di spie et d’inimici del medesimo Zanon, che m’hanno promesso di far ogni loro potere per haverli o vivi o morti. Havendo io per ciò fatto rigorosi mandati agli huomini de’ comuni che debbino solelvarsi alla distruttione de questi tristi. I quali corsi non essendo per ancora ritornati, io vo giudicando che possino havere qualche buona traccia, sebene dall’altra parte tengo per molto difficile l’impresa, per esser detti banditi di questo istesso paese et pratichissimi de siti occulti delle montagne, dove essi vanno ricoverandosi.

Intanto ho fatto carcerar la moglie del medesimo Zanone, come quella che è solita a dar ricetto et indirizzi al marito, il quale dall’eccelso Consiglio di dieci fu ultimamente bandito insieme con altri per la morte del cavalier Ganassoni, podestà di Salò, con deliberatione che gli fosse spianata la casa. Ma trovo che qui non è stato publicato il bando, nè fatta altra essecutione, la quale io non mancarò di fare, mandata che mi sia la detta ispeditione, sicome ho anco scritto l’altro hieri agli eccelentissimi signori Capi.

Attendo con ogni diligenza alla formatione de’ processi, havendo fatto ritenere diversi rei nel tempo che mi ritrovo qui et condannato all’ultimo supplicio uno di essi, huomo sceleratissimo et assuefatto a gravissimi delitti. Et così anderò continuando, conforme al comandamento della Serenità Vostra et delle eccellenze vostre illustrissime, a consolatione de’ loro buoni sudditi, quali altro non desiderano che il castigo de’ cattivi et de perturbatori della pubblica quiete.

Dopo la mia partenza da Brescia ho fatto anco di là prender alquanti, i quali in assenza mia si sono havuti più facilmente et al mio ritorno continuerò et ispedirò i processi contra loro et altri ancora, facendo quanto per me si potrà a soddisfattione della giustita et a sollevamento degli oppressi, senza portar rispetto a chi si voglia, come ho fatto finhora. Gratie.

In Salò a 16 di ottobre 1610

Lunardo Mocenigo Provveditor et Inquisitor in Terraferma

3, Industria et stratagemmi

Serenissimo Principe

Nel corso di un mese che io travaglio in questa Riviera ho fatto ogni possibile, particolarmente col mezzo della valorosa soldatesca de corsi, per estirpare Zuanne Zannoni, Bernardo Cadidio et compagni, famosi banditi di questo paese, ma per industria et stratagemi che siano stati usati non si sono mai potuti ritrovare.

Et essendo io accertato che costoro si erano ritirati, parte in Veronese et parte a Solferino, castello a questi confini di don Christierna Gonzaga, dove per l’informatione che tengo, sogliono salvarsi molti sudditi della Serenità Vostra, banditi di mal fare et contumaci della giustitia, glieli dimandai con efficacissima instanza, havendo ispedito a quel signore il mio capitano di alabardieri, ma hebbi risposta, seben cortese et ufficiosa, che non vi erano et che non li haverebbe tolerati. Ho poi inteso che li detti banditi si sono ingrossati al numero di dieci a Malsesene del Veronese, dove anco hanno fatti alcuni eccessi, onde ispedei l’altro hieri contra di loro due squadre de corsi et per terra et per il lago, havendo l’illustrissimo signor Capitano di Verona mandato da quella parte un’altra mano de corsi, per veder di tuore in mezzo et cogliere questi tristi.

Ho fatto spianar la casa del sudetto Zuanne Zannon, posta nella terra di Gargnano, conforme alla deliberatione dell’eccelso Consiglio de dieci de 4 agosto prossimo passato, nè ho fatto l’istessa essecutione contra due altri suoi compagni, per non haver casa alcuna d’essi.

Et nel tempo che mi ritrovo qui ho ispediti venti otto rei, uno condananto all’ultimo supplicio, cinque alla galea, undeci in prigione, sette banditi et quattro rilasciati, essendo le colpe de diversi di loro di haver favoriti et ricettati li fuoriusciti di questa Riviera, quattro de quali fautori et ricettatori per esser persone civili mi è parso di confinare nelle prigioni forti di Venetia, uno per anni sette et tre per anni cinque, non havendo voluto relegarli perché so che li relegati non ubidiscono et simili sentenze per lo più riescono delusorie. Agli altri sette poi non ho dato pena di galea per esser alcuni inhyabili et altri parimente civili et li ho confinati in prigione, parte qui a Salò et parte a Brescia. Ho schivato quanto più ho potuto di far banditi, con procurar di haver li rei nelle forze, conoscendo che questo è il vero rimedio, ma li detti pochi si erano di già absentati, nè è stato mezzo haverli nelle mani, onde mi è bisognato bandirli, per non lasciarli andar impuniti.

Ma contra due fautori et ricettatore principali di questi banditi, che sono Ambroso et Bonifacio Ceruti fratelli, cittadini di Salò, mi è precluso il procedere come bisognarebbe, per esser hora ritirati nelle prigioni degli eccelentissimi signori Capi per imputatione di complicità nel caso della morte del cavalier Ganassoni, era podestà di Salò, a quali però ho dato conto particolare delle colpe di costoro, affine che non passino senza il debito castigo.

Et essendo io venuto in cognitione che un fra Titiano dei Antoni da Gargnano, dell’ordine de frari, ha favorito et ricettato diverse volte nel monasterio in quella terra li detti banditi et che per ciò il reverendissimo generale della sua religione l’ha mandato già pochi giorni fuori dello stato della Serenità Vostra, io ho fatto venir a me il padre guardiano di esso monasterio et con mandato in scrittura gli ho commesso che debbi intimar al detto fra Titiano che sotto pena della vita non ardischi ritornar più nè in questa Riviera, nè in altro luogo della serenità Vostra, senza espressa licenza di lei.

Ho fatto anco una gagliarda ammonitione a questi frati dell’Isola in mezzo il lago, che s’astenghino di ricettare li medesimi banditi, essendo corso certo sospetto che possino essere stati nel loro monasterio già alcuni mesi.

Ma pur il vero questi banditi sono stati tolerati da communi con troppo licentiosa et scandalosa permissione, la qual ha causato quei gravi et attroci misfatti che più volte da loro sono stati commessi. Onde chiamati molti consoli, che sono capi de communi, di quei dove li banditi solevano pratticare più frequentemente, ho commesso loro con la voce et in scrittura con severe pene che nelle occorrenze debbino meglio invigilare alla distruttione di queste male genti, di modo che per tutte le vie ho procurato di levar a costoro ogni adito affine che più facilmente si possino havere o vivi o morti se ritorneranno di qua.

Nè restandomi qui cosa di maggior momento ho deliberato di ritornare domani a Brescia per l’ispedittione de altri casi et di là scorrerò in altra parte, dove consocerò esser maggiore il bisogno. Il che è quanto posso per hora rappresentare alla Serenità Vostra et alle eccellenze vostre illustrissime. Grazie.

In Salò a 3 di novembre 1610

Lunardo Mocenigo Provveditor et Inquisitor in Terraferma

  1. Lo stato di quiete

Serenissimo Principe

Ritornai da Salò a Brescia per ispedire alcuni prigioni che mi restavano et per passar imemdiate a Palazzuolo et di là poi a Bergamo, ma havendo fatto ritener alquanto rei nelel ville et terre vicine ha bisognato fermarmi in questa città maggior tempo di quello che io havevo divisato, concorrendo qui molti distrittuali con maggio sodisfattione loro, parendoli per il timor che hanno di esser offesi di venir più di nascosto a portar i loro aggravi. Et io procuro con ogni spirito di sollevarli et assicuro se io andassi personalmente nelel ville sarebbono di quelli che non ardirebbono di comparer avanti di me con quella libertà che fanno qui a tutte l’hore, dubitando di esser veduti più palesemente di fuori nei luoghi ristretti et di havere degli esploratori nelle loro attioni.

In questo tempo, oltre l’interfettione di un bandito seguace dei Zanoni della Riviera, sono stati presi sei altri banditi, due delli quali hanno havuto l’ultimo supplicio et quattro sono destinati alla galea, che invierò di breve a Venetia, insieme con undeci altri da me condananti al remo, havendo ispedito alcuni altri con confine di prigione et banditi altri absentati dal paese, i quali non si sono potuti havere nelel mani. Ho anco convenuto punire de pena capitale tre delinquenti, uno dequali era gentilhuomo di questa città, nominato Guido Gandino, convinto de attroci et enormi eccessi et che particolarmente con seguito de diversi facinorosi ha commesso infinite tirannie in alcune ville et nell’istessa cittò. Et sicome per questa essemplar giustitia molti sono restati liberi da un continuo disturbo et travaglio che ricevevano da un tal tiranno, così tutti questi popoli apertamente dimostrano contento indicibile vedendo che sempre più si va confirmando et nella città et fuori ancora quella tranquillità che veniva turbata da cattivi et mal viventi, onde ognuno, et di giorno et di notte, camina sicuro et gode la desiderata libertà. Piaccia al signor Iddio che lungo tempo si continui in questo stato di quiete, come io indeffesamente invigilo con ogni mezzo di stabilirla, conforme alla mente della Serenità Vostra et dell’eccellenze vostre et al bisogno grande de questi fidelissimi et devotissimi sudditi, i quali per tante oppressioni de tiranni et d’huomini di mal fare vivevano, come loro medesimi confessano, troppo miseri et infelici.

Fra otto giorni che havrò espediti alcuni altri processi seguiterò il viaggio disegnato, nè mi resta per hora che altro aggiungere alla Serenità Vostra et alle signorie vostre eccelentissime. Grazie.

In Brescia a 20 di novembre 1610

Lunardo Mocenigo Provveditor et Inqiuisitor in Terraferma

  1. Campane a martello (31 dicembre 1610)

La delibera del comune di Maderno del 31 dicembre 1610, con le relative lettere scambiate con il comune di Gargnano, è di estremo interesse. Tale delibera sembra rinviare all’azione congiunta che nell’agosto del 1617 le due comunità di Tignale e Gargnano muoveranno contro Zanzanù. In realtà è da notare come il clima a fine dicembre 1610 sia notevolmente diverso. Leonardo Mocenigo ha appena concluso la sua missione (a fine novembre). Dai suoi dispacci sappiamo che tra ottobre e dicembre ha fatto spianare la casa di Zanzanù e bandito sua moglie. I consoli delle comunità dell’Alta Riviera sono stati sollecitati ad intervenire contro il bandito e la sua banda. E’ però molto probabile che non sia il timore di ritorsione da parte delle autorità a sollecitare questa collaborazione. Il 14 novembre il comune di Maderno era intervenuto a favore di quello di Gargnano non appena quest’ultimo aveva segnalato il pericolo con il suono della campana a martello. Un’azione sollecitata, molto probabilmente, dalla presenza sul territorio dello stesso Leonardo Mocenigo. La lettera di ringraziamento verrà però spedita solo il 27 dicembre e la comunità di Maderno risponderà prontamente il 31 dello stesso mese. E’ dunque probabile che il notabilato delle due comunità (da notare gli appellativi altisonanti che non sono dissimili da quelli usati dai consiglieri della Magnifica Patria), si stesse muovendo di comune accordo nel timore di una probabile ed imminente azione di ritorsione da parte di Zanzanù, colpito per la prima volta (con l’abbattimento della casa e il bando della moglie) nel più profondo della sua esistenza (e difatti il Provveditore a febbraio segnala una sua violenta incursione a Gargnano). L’azione del Mocenigo (abilmente sfruttata dal mercante Alberghini, il quale ha riversato la responsabilità dell’uccisione del podestà Ganassoni su Zanzanù e i fratelli Ceruti) ha dunque acutizzato il conflitto, imprimendogli una direzione decisamente nuova ed inaspettata. Le lettere intercorse tra le due comunità riflettono dunque il clima d’instabilità venutosi a creare di seguito ai provvedimenti del Mocenigo, così come un diffuso senso di timore da parte di un settore cospicuo del notabilato locale. Un’analisi della parte della comunità di Maderno e delle due lettere suggerisce come Zanzanù mirasse altresì a mantenere, nonostante tutto, un ruolo attivo sul territorio. Le sue azioni sono infatti descritte come tirannie. E’ inoltre interessante notare come l’azione di coordinamento delle due comunità si estendesse anche ai confini per chiudere la strada ai banditi nel caso di una loro incursione. Nella sua lettera la comunità di Gargnano accenna ad una distribuzione d’armi tra tutte le terre di cui era composta (la comunità era suddivisa in molti villaggi), ma è lecito dubitare che essa riguardasse indiscriminatamente tutta la popolazione. (Si ringrazia Giovanni Pelizzari per l’individuazione e la riproduzione fotografica dei documenti qui di seguito trascritti)

 

Nel consiglio di Maderno riunito il 31 dicembre 1610 viene letta la lettera scritta dal comune di Gargnano. Dopo la discussione si delibera:

Va parte a chi piace sii data licenza al spettabile consule che serà per tempo che in occasione di venuta de banditi o commissione de delitti, delli quali occorresse sonar campana martello et chiamar agiuto, possano et debbano elleger persone le quale a spese del commune vadino subito ad avisar li consuli o viceconsuli delli communi vicini et più oltre se serà bisogno, dandogli notitia della qualità delli accidenti et da qual parte doveranno concorere all’agiuto. Mesi nel bianco a chi; non nel rosso; et essendo presa la parte sia rescrito al detto spettabile commune. Fatta la contraditione, date et scosse le balle, fu presa la parte per balle 47 nel biancho, contra nel rosso tre.

Segue la trascrizione della lettera scritta dal comune di Gargnano a quello di Maderno:

Molto magnifici signori consule et consiglieri osservantissimi: Havendo veduta la prontezza dello spettabile vostro commune in coadunar molta gente armata et venir in agiuto nostro li 14 novembre passato, quando fu da noi datto campana a martello et che tutto il commun nostro era in armi contra li banditi, del qual atto, fatto con tanta vostra prontezza et senza nostra rechiesta, ne siamo restati sotisfatissimi et per sotisfar in parte al debito nostro, con le presenti, d’ordine del general nostro consiglio rendiamo infinite gratie alle magnifiche vostre et si offeriamo ancor noi prontissimi in simil occasione per corrisponderli con simil prontezza. Ma acciò che questo coadiuvarsi et correr delle genti sia fruttuoso, stimiamo esser bene (se così piacerà anco alle magnificenza vostre) che quando accaderà darsi campana a martello in qualche comune et che esso comune habbi bisogno del agiuto di altro comune, si debbia servar questo ordine che il consule o viceconsule di esso comune debba far avisato il consule o viceconsule della terra più vicina dell’ altro comune, con particolar aviso dell’accidente occorso et dar ordine dove et in qual luogho et parte le genti doveranno andare, stimando molto fruttuoso il serar dei passi et massime alli monti più che sia possibile, per più facilmente distrur hormai simil pestifere genti et deliberarsi una volta con l’agiuto del Signor Iddio da tante tirannie. Et quanto a noi siamo di risolutione firmissima di far ogni possibile per distrurli, havendo provisto di armi et monitioni et distribuite in tutte le nostre terre, perciò saremo sempre all’ordine et in pronto di correr in loro agiuto quando che da loro saremo richiesti per corisponderli in simil buona voluntà. Et speriamo il simil anco da loro et fratanto aspetteremo la gratta loro risposta, pregando nostro Signore che hormai ci liberi et si raccomandiamo.

Di Gargnano li 27 dicembrio 1610

Delle magnificenza vostre affetionatissimi il consule et consiglieri

A tergo: Al molto magnifici signori osservantissimi il consule et consiglieri di Maderno

Viene poi di seguito trascritta la risposta della comunità di Maderno a quella di Gargnano:

Molto magnifici signori osservantissimi

Sì come fossimo pronti questi giorni passati al tocco della campana a martello da noi udito, di subito ridursi et corere alla sua volta per soccorerla in tutto quello che fosse nostro possibile, così le vostre signorie devono restar certe et sicure che in ogni altra occasione simile et di qualonque altra sorte occorente che noi potremo giovarli, saremo prontissimi di spendere ogni nostro essere a benefficio loro, che non solo publicamente così ci commanda il precetto dell’amor, il prossimo et la ragione della vicinanza nostra et la buona intelligenza che in tutte le occasioni è stata sempre fra di noi alla conservatione de nostri communi, ma perché ancor noi desideriamo che con sì buone provisioni si operi in modo tale che li sturbatori della publica et particolare quiete et della comune sicurezza de tutti restino raffrenati et castigati anchora. Et per questo, abbraciando anchor noi l’ottima provisione escogitata dalle vostre signorie, subito ricevute le loro lettere habbiamo provisto, sì che in ogni accidente di dover dimandar soccorso da qualche terra, subito siano mandati messi a posta ad avisare quale sia la terra che doverà esser soccorsa et da qual parte. Et nel resto sicome le ringratiamo di ogni suo buono effetto verso di noi, così noi anchora continuaremo di corrisponderli sempre et fra tanto gli baciamo la mano.

Da Maderno li 31 dicembre 1610

Dalle magnificenze vostre affetionatissimi il console et consiglieri.

[A tergo] Alli molto magnifici signori osservatissimi il comune et consiglieri di Gargnano.

 

  1. La relazione al Senato di Leonardo Mocenigo

Leonardo Mocenigo (1550-1626) ricoprì nella sua carriera politica rilevanti incarichi nelle magistrature veneziane e di Terraferma.

Il 18 maggio 1607 presentò al Senato la sua relazione di fine mandato in qualità di podestà di Brescia. Il suo collega nella città lombarda fu il capitano Giovanni Paolo Gradenigo, il quale nella propria relazione presentata, qualche mese prima, affermava: “L’Illustrissimo signor Leonardo Mocenigo mio collega, che tutt’hora essercita quella laboriosissima carrica di Podestà, havendo in così travagliosi incontri, et in tutto il restante del suo prudentissimo governo dimostrato la sua vigilanza et il suo molto valore, si rende veramente degno rappresentante della Serenità Vostra”.

Successivamente ricopre la carica di consigliere dei dieci e in tale veste, insieme agli altri due Capi Nicolò Contarini, Almorò Zane procede ad esempio contro l’abate Marcantonio Coranro (figlio del futuro doge Giovanni) accusato di rapimento. Leonardo apparteneva senz’altro all’orientamento politico dei “giovani”: un gruppo di patrizi, incline  ad attuare un processo di rinnovamento politico e culturale, e soprattutto diffidente nei confronti del Papato e della Spagna. E proprio sul delicato terreno della politica ecclesiasticai il patrizio aveva dovuto confrontarsi aspramente nel suo periodo bresciano, coincidente con la ferita aperta dell’Interdetto, tant’è che nella sua relazione scriveva:” Quel reggimento… posso dir con verità che le stravaganti congiunture de negotij di Roma mi l’hanno fatto provar insopportabile, nello spatio di un anno intiero, nel far star all’obedienza li religiosi, i quali essendo di natura licenziosa e la maggior parte di essi poco fedeli al loro Principe naturale, non mi hanno mai lasciato in quiete”.

Invece come inquisitore di stato, carica della quale fu investito più volte, fu protagonista di delicate decisioni. In linea con il suo pensiero politico, condannò ad un anno di prigione, d’accordo con i due colleghi, il già detto Nicolò Contarini e Marco Antonio Erizzo, il savio alla terraferma Anzolo Badoer, il quale, nel dicembre del 1607, tenne un presunto incontro, senza una previa autorizzazione, con il nunzio apostolico nella Chiesa dei Frari. Questa condanna, che fece molto scalpore, fu dettata probabilmente da ragioni di parte, dato che il Badoer durante l’Interdetto si era impegnato a favore della pace con Roma.

Qui sotto è riportata la relazione di Leonardo, sottoposta al giudizio delle autorità veneziane, dopo aver terminato la sua esperienza di sei mesi “nel grave et laborioso carico di Proveditor, et Inquisitor di là dal Menzo”, che lo ha portato a conoscere da vicino “la più bella, la più ricca, la più fertile, et la più popolata parte, non dirò del loro stato, ma di qualsivoglia altro principe del mondo”.

Anche da questo testo emerge il profilo di un uomo che amava affidarsi ad una retorica ridondante e ad enfatizzare i propri meriti.

Bibliografia:

  1. COZZI, Il doge Nicolò Contarini: ricerche sul patriziato veneziano agli inizi del seicento, Venezia – Roma 1958.
    G. COZZI- M. KNAPTON- G. SCARABELLO, La Repubblica di Venezia nell’età moderna. Dal 1517 alla fine della Repubblica, in Storia d’Italia, diretta da G. GALASSO, vol. XII, t. II, Torino 1992.
    Relazioni dei Rettori veneti in Terraferma XI, Podestaria e Capitanato di Brescia, a cura dell’Istituto di Storia economica dell’Università di Trieste, ricerca diretta da A. TAGLIAFERRI, Milano 1978.

 

Collegio, Relazioni, busta 54.
Relatione dell’illustrissimo signor Lunardo Mocenigo, ritornato di Proveditor et Inquisitor in Terra Ferma di là da Menzo.
Letta nell’eccellentissimo Senato, et presentata al Secreto questo giorno 8 di Agosto 1611

1611 8 Agosto

Serenissimo Principe,

Poiché con mie lettere, scritte di tempo in tempo, ho dato riverente, et particolar conto alla Serenità Vostra et all’Eccellenze Vostre delle mie operationi, fatte nel spatio de sei mesi continui, con un’assidua, et mai intermitente applicatione, nel grave et laborioso carico di Proveditor, et Inquisitor di là dal Menzo, che hanno voluto confidar sopra le mie deboli spalle; stimo, che al presente riuscirebbe non meno superfluo, che tedioso il descender alli medesimi particolari, et che possa servir d’avantaggio per la loro satisfattione, et per il mio debito, che reasumendo in generale quest’attioni, le dia insieme una riverente, et breve informatione del stato, nel quale ritrovai al mio arrivo quella, che posso chiamar Provintia; di quello, nel quale l’ho lasciata al mio ritorno: de gl’ordeni, che ho dato, per stabilirvi la sua quiete; et di quelli, che stimo, che possano venire dall’Eccellenze Vostre per assicurarsi di questo stabilimento.

Non pativa certo maggior dilatione, Serenissimo Principe, illustrissimi et eccellentissimi Signori, il bisogno di quella parte del loro stato, d’esser visitata con una suprema auttorità: poiché era ripiena d’abusi, et disordini così grandi; era sparsa di così pestifero seme, che havendo hormai posto alta, et profonda radice, andava serpendo, et dilatandosi in maniera, che la copriva, la infettava, et la soffocava tutta: et se la bontà del Signor Dio, non havesse opportunamente eccitata la benignità, et la prudenza dell’Eccellenze Vostre ad applicarvi sufficiente rimedio, la più bella, la più ricca, la più fertile, et la più popolata parte, non dirò del loro stato, ma di qualsivoglia altro principe del mondo, era in procinto d’esser fatta la più misera, la più afflitta, la più infelice, et la più dessolata, che sia, non dirò in Italia, ma nella christianità tutta; et in maniera, che pareva impossibile, che fra populi christiani, fra sudditi di così giusto, et ben regolato governo, com’è quello della Serenità Vostra, potessero ritrovarsi huomini tanto licentiosi, arditi, temerarii, et empii contro loro medesimi.

Io stesso che pur, soli quattro anni avanti, son stato Podestà di Brescia, nel tempo di quelle gravissime turbolenze con il Pontefice, che a tutti per diversi rispetti davano occasione di più licentiosa vita, che mai havessero fatto, al presente ho havuto a stupir in estremo, come in così poco tempo li disordeni fossero accresciuti, et multiplicati tanto; et pur vi sono sempre stati, et si trovano più che mai a quel governo, prudentissimi senatori, di gran valore, et di gran zelo verso il publico servitio: ma sia, o dal haver questi un auttorità limitata, et sottoposta a suffraggii, et subterfuggii, o sia dalla troppa indulgenza, usata nel corregger i primi errori; da che nasce l’habito nel male, et il sprezzo della giustitia; o sia finalmente, che in ogni luogo il mondo tanto peggiori più, quanto più invecchia; questo è verissimo, che in quella parte gl’eccessi et enormità erano giunte al colmo.

L’origine d’ogni male sono state senza dubio le garre, et inimicitie fra particolari, delle quali i paesi richi, et otiosi pare, che siano sempre fecondissimi: queste cominciate fra grandi per fasto, et alterezza, li hanno obligati a dar ricetto ad ogni tristo, et vagabondo per haver seguito, et ministri delle loro vendette, a quali, per esser indiferentemente serviti in tutte le cose, convenivano indiferentemente comportar ogni misfatto: anzi che aggravate, per mantenersi in queste preminenze, le facoltà loro di maggior peso, che non possono portare, hanno convenuto essi ancora porre mano in quel d’altri: di maniera, che incominciato così a poco a poco a tingersi le mani nel sangue, et nella roba d’altri, quanto più ne hanno cavato, tanto più loro è cresciuta la sete, et tanto si sono aggregati maggior numero de complici: dove che serpendo l’infettione, et interessati dopo li grandi, li bassi ancora, quelli istessi, che abbonivano le fattioni, si erano risolti d’accostarsi ad una delle parti, per restar immuni dall’offese dell’altra: di sottoporsi ad un solo, per non essere sottoposti a tutti, et così dilatate le partialità, pieni di odii, di rabbie, et d’appetiti, privi di ragione, di pietà; et di fede havevano ridotte le cose in stato, che le piazze, et città non erano ripiene d’altro, che de bravi et sicarii; le strade, et le ville de ladri, et assassini; le armi più familiari a tutti, erano li terzaroli, et le pistolle, usate scopertamente da ogn’uno. Un saluto scarso haveva per risposta una archibugiata; non era chi ardisce di caminar, solo che in setta; chi haveva crediti non poteva sperar d’essigere, et chi teneva in mano, non poteva pretender di conservare: il marito, et il padre non erano patroni della moglie e della figliuola, et il minor male che potessero temere, era di convenir maritarla a voglia d’altri, et la pena della renitenza era la vita: fino nelle proprie case, et ne proprii letti gl’huomini non erano sicuri: le botteghe si serravano avanti il tramontar del sole; il concetto d’esser huomo da bene, veridicio, et zelante della giustitia bastava per acquistar cento inimici, et partorir la propria ruina; il testimoniar il falso, era ridotto in mercantia; gl’incendii, i ratti, i fratricidii, i tradimenti erano passati in consuetudine; in somma questa non è hiperbole, ne amplificatione; erano ridotti a tale, che vivevano senza poter respirare; havevano senza poter godere; vedevano senza poter parlare; et quello che è l’estremo de tutti i mali, pativano, languivano, et morivano, senza poter dolersene.

Il vedersi però ridotti in questa miseria, che li rendeva odiosi a loro medesimi, sicome gli ha fatto desiderar in estremo, che dalla pietosa, et potente mano della Serenità Vostra venisse qualche efficace rimedio ai loro mali, così li ha fatto sentir con sommo contento l’elettione d’un Proveditore, destinato a quest’effetto: ma trapassò poi tutti i segni, il giubilo, et l’allegrezza, con la quale m’incontrorno, et riceverono; perché, tralascio gl’honori delle duplicate, et triplicate ambascierie, gl’incontri di tutte le città, et ogn’altro publico attestato d’un divoto, et riverente ossequio; quello, di che maggiormente ho stupito, è che non potevo passare da luogo a luogo, ne meno uscir di casa per udir la messa, che non uscissero nelle strade, et si fermassero per vedermi; et stimando, che a punto fosse venuto il tempo d’esser redenti dalla servitù de tiranni, pareva, che dai cuori, et dalle bocche de tutti non scaturisse altro, che quelle parole: benedictus qui venit in Nomine Domini; ne voglio tacer quest’ancora, che in Brescia particolarmente non vì è stato alcuno, che habbia havuto qualche talento di scrivere, et componere, che non habbia voluto mandar fuori qualche operetta in laude del Proveditore; et sebene mostravano d’agrandir la mia persona particolarmente, da loro altre volte conosciuta, in verità però, questo è stato un aggradire la pietà, et la prudenza dell’Eccellenze Vostre, che così benignamente, et così opportunamente habbiano voluto mirar ai loro bisogni: dove per maggior espressione delle loro speranze, et del loro bisogno (fra molt’altri geroglifici di questa natura) da cavallier principale d’ordine della città, sopra la porta della casa preparata per il mio allogiamento, fu figurato una nave in procinto di naufragare con tutti li marinari, et fra l’aere nuvoloso, et fortunevole imminente, compareva una luce con questo moto: proxima salus.

Questi applausi, et questo invitto solevorono altretanto il mio animo, quanto le mie forze erano aggravate dall’importanza del peso; dove subintrando al carico, feci sempre maggior cuore, quando vidi l’ubedienza grande, che mi veniva prestata; poiché al primo suono delli miei proclami, si dispersero immediate tutti li bravi, et vagabondi, et si disfantarono li terzaroli, et altre armi prohibite; dove fu poi osservato con gran stupore, che essendo ultimamente occorsa certa rissa nella piazza di Brescia, per la quale havendo molti de quelli gentil’huomini posto mano alle spade, non fu veduta da alcuno pur una pistolla; et pur all’hora io non ero in quella città.

Principiato ad accettar le querele, ad inquerire, et a formar processo, mi riuscì veramente assai difficile il poter dilucidare le colpe de molti, perché li testimonii, incantati dal timore per li essempii veduti in altri, comiciavano a piangere prima che a parlare: et ve ne sono stati alcuni, da quali ne con le buone, ne con le aspre, quando le regole criminali comportavano, che si usassero, si è potuto cavare la verità: tuttavia con la patienza, et con la diligenza, superando l’impossibile, ho potuto giustificar le colpe de molti, et castigarne molti in diverse maniere. Ne ho mandato in gallera al numero di cinquanta quattro, compresi alcuni già prima banditi, che ho fatto prendere: et questi tutti, gente di così mala vita, che, se non capitavano nelle cattene, in poco tempo havrebbono commesso cinquanta mille delitti. Ne ho banditi da novanta per necessità: non comportando le loro colpe, che restassero impuniti, né havendo permesso la loro sagacità, che potessero esser presi: et fra questi, de principali, sono il signor Matthio Avogadro condottiere, il conte Marc’Antonio Callin, bresciani: il conte Gerardo Benaglio, bergamasco, il capitan Prospero Rò, et Casten suo figliuolo, milanesi. Et questo capitanio, soggetto di gran seguito, ma sceleratissimo huomo, degno di mille morti, haveva posto casa nel Bergamasco, et in essa dava ricetto ad ogni sicario, da quali non era sceleratezza, che non fosse commessa. Dove procurai con ogni mia industria di haverlo nelle mani: ma egli, che conosceva benissimo la sua conscienza, non aspettò meno il mio arrivo in Bergamo, che si nascose, senza sapersi dove fosse ritirato; è vero, ch’essendo egli bandito anco dal milanese, et mi pare da altri luoghi ancora, et essendo diffamate le sue conditioni in tutti quei stati circonvicini, di tal maniera, che difficilmente ve lo accetteranno, si può credere di haversene liberati affatto: perché chi non ritrova ricapito in alcun luogo, si può dire, che sia morto, senza haver sepoltura. Ne ho confinati quattordeci in prigione, et fra questi il signor Sforza Avogadro, fratello del signor Matthio, che voluntariamente si è presentato, et hora si trova qui in Venetia, nelle prigioni de gl’eccellentissimi signori Capi. Ne ho finalmente condennato dodeci all’ultimo supplicio, et fra questi un Giulio Gandino, gentil’huomo bresciano, il più scelerato, che facesse la natura, la morte del quale ha rallegrato tutta quella città.

Tre altri ne hanno ammazzato li capelletti nelle capture, et alcuni altri li communi, con l’aiuto, et ordeni, ch’io le ho dato: et fra questi quel Bernardo Bernardinello, famoso capo de fuorusciti nella Riviera di Salò, detto Ca’ de dio, et un suo seguace, che furono auttori della morte del cavalier Ganassoni, Podestà di Salò, et compagni di quell’altro scelerato, detto Zannon, il quale non havendo mai per diligenza usata potuto havere nelle mani, nè vivo, nè morto, le ho fatto, secondo la deliberatione dell’eccellentissimo Consiglio de Dieci spianar la casa. Questi tutti ascendono al numero di cento e ottanta, con il castigo de quali, havendo la Serenità Vostra purgato il suo stato da tanti scelerati, credo che l’essempio de questi farà rissolver molti altri di purgar se stessi dai loro vitii, per non incorrer, col persistere nelle medesime colpe, anco nelle medesime pene: et che questa visita così presta, et così severa, sarà stata a guisa di un fulgure, che se atterra pochi, spaventa infiniti. Al castigo di maggior numero ho trovato di non potere, o pure ho stimato di non dover porre mano: perché prima il far cadere tanti in un punto sotto la sferza, pareva, che havesse un poco dell’odioso, et che vi fosse stato fine più tosto di sradicare gl’huomini, che li vitii.

S’aggiunge, che molti, fatti cauti dal pericolo d’altri, et consii delle loro operationi, hanno cominciato a ritirarsi, anco avanti il mio arrivo, et si sono sempre più andati ad absentando in maniera che ultimamente non era possibile haverne più alcuno nelle mani: et sebene questa fuga era manifesto inditio della colpa, ho nondimeno creduto non esser bene, per voler castigar tutti, far un numero infinito de banditi: perché questo sarebbe stato più tosto un andar inestando, che sradicando le cattive piante: credo però, che molti si saranno rissolti di bandirsi da loro medesimi, quelli particolarmente, che hanno la casa in capo, tanto più, che hanno conosciuto per isperienza, che anco lontani dal Proveditore, corrono pericolo d’esser presi: perché alcuni de questi, stimando d’esser sicuri in un luogo, mentre io ero nell’altro, quando passai a Bergamo, essi ritornarono a Brescia: ma io, che tenevo in ogni luogo buonissimi indricci, improvisamnete li feci dare delle mani adosso; et dall’hora in poi non ve n’è comparso più alcuno; dove il dubio, che li Rettori ancora non facciano il medesimo, credo, che li potrà tener lontani.

Et se quelli, che hanno case, et beni ritorneranno alle medesime stanze, non credo però, che così facilmente siano per ritornare alle medesime operationi, per non incorrere nelle fuggite disavventure. S’aggiunge, che le colpe de tutti non si sono potute così ben giustificare per li rispetti tocchi di sopra; et dove regnavano tanti odii, et inimicitie, non mancavano in copia testimonii falsi. La ragione non voleva che tutto quello, che veniva facilmente opposto, si havesse così facilmente per comprobato; et molte cose provate ancora, per esser assai leggieri in questa congiuntura, non dovevano così prontamente esser castigate; che quello, che a parte a parte non si sarebbe comportato ad alcuno, dove tanti in un’istesso tempo ne sono stati diffamati, ha bisognato dissimular con tutti. Basta, che dove ho ritrovato così chiare le prove, come gravi le colpe, non ho perdonato ad alcuno.

Et dove non ho potuto dissimulare, né dovuto castigare, me la son passata con una grave ammonitione fatta ad alcuni così efficace, che l’haveranno havuta per castigo. Nelle cose civili formalmente io non ho posto mano, perché anco la mia commissione espressamente non me lo commanda; ho solo per istanza di qualche meschino, con una severa comminatione fatto rissolvere a pagarlo, chi chiaramente li doveva, et empiamente lo tirannegiava; anzi, che molti, stimando, ch’io tenessi, et fossi per essercitare suprema auttorità in tutte le cose, conoscendo il loro debito, voluntariamente si sono risolti di dar sodisfattione alli loro creditori, per non convenir darla necessariamente alla giustitia ancora.

Mi son ben applicato con ogni spirito, et con ogni ardore ad un altro negotio, al quale il bisogno de tutti, le preghiere de molti, et il scopo principal del mio carico mi chiamava; che è stato di riconciliar, et di pacificar quelle città divise, et perse nelle loro fattioni, et vecchie inimicitie; vedendo, che dal tagliar questa radice, ne veniva in conseguenza il levar l’occasione de tutti i mali: et vi ho convenuto certo sudar, et travagliar assai, perché gl’animi de quei grandi erano accesi in estremo, gl’odii invecchiati di decenne d’anni, le piaghe infistolite, et per molte recidive fatte insanabili. Di maniera, che sebene i loro Rettori, et altri soggetti principali vi si erano adoperati con ogni spirito, la fatica le è sempre riuscita vana: ma non so, se sia stato, ch’io habbia havuto maggior auttorità, et maggior fortuna, o pur, che sia venuto il tempo destinato dal Signor Dio a tanto bene.

Io ho havuto gratia di conseguire pienamente il mio intento, perché havendo cominciato alcuno de principali a rendersi, et a rimetter liberamente tutte le loro differenze nelle mie mani, con l’essempio de questi, eccitati gl’altri, spronati dal timore per qualche colpa, che potevano havere, invitati dal proprio bene per tante disavventure, che havevano patito, ad uno ad uno, et dal primo fino all’ultimo m’hanno voluntariamente accettato per supremo arbitre, et moderatore; dove con diverse scritture, et con quei risguardi che in casi tali mi si convenivano, ho riconciliato insieme tutte le prime case, come sono; in Bergamo Brembati, Benaglia, Agosti, Marenzi, Zanchi, Lupi, Zoppi, et altri. In Crema Vimercati, Benvenuti, Benzoni, Zurla, Fracavalli, Tadini, Barbetta, et altri. In Brescia per li novi parentadi, et paci ultimamente fatte fra li Avogadri, et Martinenghi, et fra li Cesareschi, et gl’altri, pare che li grandi havessero già incominciato ad intendersi bene insieme, et che questa peste si fosse maggiormente radicata nelle città vicine: ma lodato Dio, che hora tutte ne sono restate libere; perché accomodati li grandi, gli altri loro partiali hanno in conseguenza, senon fatte le paci, almeno perse l’inimicitie, con tanto giubilo universale, che cominciorno con le lacrime ad esprimerlo, et lo confirmorono poi con feste, giostre, et altre dimostrationi d’amore et d’allegrezza; segni più tosto d’animi ben confirmati, che di voluntà novamente riconciliate; con gran stupore de vicini, che non havrebbono mai creduto di poterli vedere in tanta unione; nella quale, si può credere, certamente, che habbino a conservarsi, perché la maggior parte era entrata a caso in questo pelago, et vi andava flutuando per necessità: ma poiché le è sortito di ricoverarsi in porto, fatti cauti a loro spese, non si può credere, che così facilmente siano per esporsi di novo ad altre borasche: ma si può ben affermare, et concludere, che havendo io castigato le loro colpe, et havendo essi riconciliati li suoi animi; la giustitia, et la pace si siano abbracciate insieme, per dover longamente star unite fra di loro.

Per stabilire quest’unione di pace, et di giustitia, Serenissimo Principe, illustrissimi et eccellentissimi Signori, io ho dato, et lasciato, per il mio debol senso, diversi buoni ordeni. Tralascio quelli in proposito de bravi, vagabondi, terzaroli, pistolle, et altre armi insidiose, perché essendo provisioni fatte tant’altre volte, sono benissimo intese, et presupposte da ognuno: sebene è vero, che al presente io ho cautellato queste prohibitioni più del ordinario, et l’ho aggravate insieme de maggiori pene, le quali havendo anco irremissibilmente essequito contro d’ognuno, poiché l’essecutione e l’anima delle leggi, hanno acquistato forza, et vigor così grande, che non credo, che siano più così facilmente trasgredite; come certo bisogna procurar con ogni spirito, che segua; perché altrimenti, comportando questa gente, disimulando quest’armi, tant’è possibile mantener fra di loro pace, et quiete, quanto è possibile star nel fuoco, senz’abbrucciarsi.

Tralascio medesimamente gl’ordini, et proclami fatti intorno al ricettar, perseguitar, accusar, et prendere banditi, perché anco questi sono simili a gl’altri, fatti tante volte; sebene questi ancora li ho accompagnati con ufficii, et circostanze tali, che ne ho veduto, et si può sperar di vederne qualche maggior effetto dell’ordinario: perché questi hanno già partorito la presa de molti, et l’interfettione di quel Cà de dio della Riviera di Salò, detto di sopra; et hanno causato, che quei communi della istessa Riviera hanno depositato del loro seicento ducati in quella camera, da esser dati immediate a chi prendesse, o ammazzasse anco quel Zannon suo compagno; provisioni, che ad altro tempo haverebbono meno ardito di sognarsi, o di parlarne; et pur hora vi sono venuti, et già che molti hanno fatto cuore, se costoro vi ritorneranno, facilmente potrebbero urtar nella rete.

Di un’altra provisione stimo ben necessario, che l’Eccellenze Vostre restino particolarmente informate; la quale è; che essendo io stato avertito, et havendomene li deputati della città di Brescia parlato con gran sentimento, che molti di quelli gentilhuomini principali, come de Martinenghi, Avogadri, Gambara, Cavrioli, et Provaglia in diversi luoghi di quel territorio, dove hanno grosse entrate, a poco a poco s’erano andati arrogando, et usurpando auttorità, et giurisdittione, che con alcun fondamento non potevano pretendere: ma con il tempo l’havevano convalidata di maniera, che bastava loro l’animo di impedire a publici ministri, che dentro a quei luoghi facessero essecutione, citatione, o intimatione alcuna, senza loro licenza; la quale se le pareva di negare, lo facevano liberamente et in particolare non permettevano, che li Consuli o Sindici di quelle ville portassero alcuna denuntia al Malefitio di Brescia, se loro non tornava conto; di maniera che oltre l’offesa della publica auttorità, questi luoghi erano fatti tanti assilii, et franchiggie per scelerati, che stimando di potere, come seguiva in effetto, starvi sicuri, sotto l’ombra de questi regoleti, ogni tristo vi correva, servendo alle disordinate voglie delli patroni, et satiando i loro appetiti ancora, come meglio le pareva. Informato però di queste temerarie pretensioni, con publico proclama in stampa, et sotto gravissime pene, le ho dichiarate vane, et annullate tutte: nominando particolarmente li soggetti, da quali, et i luoghi, ne quali venivano essercitate: ma oltre di questo, perché alcuni di loro in certi altri luoghi, ne quali veramente tengono per i meriti de suoi maggiori diverse giurisdittioni, alcuno d’essi pretendeva d’essercitarle con maggior imperio, che non si conveniva, havendo bastato l’animo al signor Giovanni Battista Martinengo, et altri suoi nipoti, che in Urago hanno giurisdittione con mero, et misto imperio, di prohibire la publicatione delli miei proclama.

Di ciò restando io grandemente meravigliato, li feci venir in Brescia alla mia presenza, et dolendomene severamente con loro, iscusandosi essi, che questo impedimento fosse stato posto da suoi ministri in loro assenza, et commandandoli io, che non uscissero dalla città senza mia licenza, rimandai a publicar li miei proclama; che essendo stato obedito, et havendo inteso, ch’altri non erano mai arrivati a queste pretensioni, stimai superfluo in questo di proceder più oltre. In Bergamo poi, havendo inteso, che alcuni fatti patroni anch’essi da per loro de certi fiumi, che propriamente, et assolutamente sono del Principe, con voler conceder, et negar pescagioni a loro voglia, havevano causato delle discordie, et dissensioni grandissime; da che particolarmente erano nate quelle fra il conte Francesco Brembato et il conte Gerardo Benaglio per l’acque del Brembo: con un altro publico proclama, dichiarando quest’acque di sola publica ragione, libere egualmente all’uso de tutti, ho levato per sempre ad ogn’uno l’occasione di più contendere. Con questi ordini, et con questi mezi, Serenissimo Principe, ho creduto di lasciar ben stabilita la quiete, et la pace fra quei populi da me visitati con amore, et carità verso gli oppressi, non meno, che con giustitia, et severità verso gl’oppressori. Son stato in più volte, più di due mesi in Brescia, come nella sedia del maggior bisogno; uno a Salò; uno a Bergamo; da venti giorni in Crema, et il rimanente del tempo in alcune di quelle terre principali.

Non mi son fermato in ogni villa, et terriciola, per non aggravar quei communi dell’interesse per gli allogiamenti di tanta militia, che mi seguitava; poiché questo riusciva loro molto grave: oltreché venendo in ogni luogo da ogni più remota parte gl’offesi a portar querele, et a dimandar suffragii, questa visita così particolare riusciva in tutto superflua: anzi, che ho osservato, che ognuno parlava tanto più volontieri, et più liberamente, quanto si ritrovava più lontano da casa, perché nelle proprie terre vivevano tutti con gran timore di esser osservati, et poi mal trattati. Hora ridotti le cose in questo stato, resta, che io accenni riverentemente all’Eccellenze Vostre quello, che per il mio debol senso, stimo, che possa venire da esse ancora per assicurarsi di questo stabilimento.

Et nel primo luogo convengo dirle (sa Dio col solo zelo del loro servitio, senz’alcun fine di mia particolar riputatione) che questo beneficio non si può conseguire, senza essequir anco per l’avenire quello, ch’è stato ordinato, et essequito al presente: perché, se fra sei mesi si mostrerà di non ricordarsi più delle cose passate, si interpreterà, che gli ordini, et proclami del Provveditore siano stati suoi capricii, et non concetti di questo eccellentissimo Senato; dove ognuno comincierà a sprezzarli, et disobedirli: perché, si vede chiaro, che mentre quelli, che dano le leggi, restano d’essequirle, quelli, che le ricevono, cessano d’obedirle: ma all’incontro qualche essecutione fatta a debito tempo, le rende inviolabili. Le dico questo, non perché io dubiti, che quei illustrissimi Rettori, che al presente si trovano a quei governi, manchino di quest’essecutione: ma perché mutandosi questi di tempo in tempo, tutti non la intendono ad un modo; che però, se li proclami, et ordini, che vi ho lasciato, fossero almeno alcuni d’essi confirmati da questo eccellentissimo Senato, o pur scritto ad essi Rettori per la loro essecutione, credo, che ciò le daria grandissima riputatione, et che sariano maggiormente obediti. Oltre di questo conosco veramente, che le potria giovare in estremo il mostrarsi più facili di quello, che alcuna volta par che siano nel conceder alli Principi vicini li rei, et contumaci, che li vengono dimandati; o almeno più difficili nel dar loro sicuro ricapito in questo stato; perché di questa maniera li obligheriano ancor essi di corrisponderle: oltre che non si nutrirebbono serpi nel seno, che le rodono le viscere.

Et se le Eccellenze Vostre havessero prestato l’orecchio alle tante istanze del già conte di Fuentes, intorno a quel Ferrante Nova, da me al presente bandito, non havrebbe egli commesso tante sceleratezze, et attrocità, quanto egli ha fatto nel Bergamasco. Questa pietà nel ricever li tristi, riesce crudeltà verso li buoni; et non si può sperar, che quelli, che sono tristi, et scelerati in casa propria, riescano buoni, et da bene in casa di altri. So le ragioni che vengono addotte in contrario: ma so ancora che il servitio della Serenità Vostra non consiste in haver nel suo stato gente licentiosa, et contumace, ma fedele et obediente; che perciò se le paresse, per poter con maggior fondamento ricercare, et concedere questi tristi ad ognuno, di fermar quella capitolatione con Trento, che hanno col stato di Milano, et con Mantova, io lo stimarei un buonissimo servitio: perché sicome al presente con la vicinità de tanti stati alieni, ognuno ardise di tentar ciò che vuole, sicuro di poter salvarsi in un momento; così quando sapessero di non poter esser sicuri in alcuna parte, andarebbono più riservati, o passerebbono meno impuniti. Vi è anco Solferino, terra posta fra Peschiera, et il Mantovano, della quale è patrone il signor Christerno Gonzaga, povero signore: che perciò, cred’io per qualche beneficio, che ne riceve, da in essa voluntario ricetto ad ogn’uno: che però in quella terra si salvano molti di quelli, che infesti nelli contorni del lago di Garda, sono fugati verso quella parte; et havendo io, mentre mi ritrovavo a Salò, saputo, che alcuni banditi vi erano fuggiti, mandai il mio capo d’alabardieri con mie lettere a pregarlo, che me li volesse concedere: ma egli mi corrispose di belle parole, et d’apparenza, mostrando d’esser stato in persona veder, se si ritrovavano: ma in effetto non mi volse gratificare: et però se l’Eccellenze Vostre sapessero ritrovar modo, o di tener questo signore in freno con qualche uffitio, o di obligarselo con qualche beneficio, lo stimarei ottimamente fatto; come stimarei ancora buonissimo consiglio, che finalmente si stabilissero in questa risolutione di voler, che le voci, et le liberationi, meritate dalli captori, o intefettori de banditi, et d’altra simil gente fossero concesse dalli Rettori senz’obligo di venir all’Avogaria per la confirmatione: poiché quest’obligo riesce loro tanto grave, et dispendioso, che molti stimandolo maggiormente del beneficio, che possono conseguire, restano di tentar altro; non volendo, massime chi non ha il modo, come ordinariamente non hanno questi tali, che il guadagno cominci dall’interesse, et l’avanzo dalla perdita; et senza la speranza di questo guadagno, et beneficio non occorre sperar, che alcuno si metti a queste imprese di prender banditi, poiché il rischio, et pericolo, che corrono è tropo grande. La sola evidente speranza d’un pronto beneficio ve li può condure: che però l’istesso posso dire ancora delle taglie, che dovrebbono esser pagate in quelle camere, et la maggior parte di quelli, che le devono havere, si contentarebbe, che un terzo solamente li fosse contato di là, et cedere tutto il resto. Perché in ogni modo o che non le hanno mai, o che li costano tanto, che non vengono nel quarto; et il meglio, che sapiano fare per cavar qualche cosa, è di vender il loro credito per una miseria ad alcuni, che stanno sopra queste prattiche. Et queste difficoltà non solo ritirano i communi da essequir quello, che sarebbono in obligo, et dal tentar alcuna cosa contro li malfattori, ma raffredano grandemente li corsi, et capelletti ancora tenuti con tant’interesse dalla Serenità Vostra a questo solo effetto. Che con questa regolatione sarebbono grandemente inanimite ad esporsi ad ogni pericolo. Delli quali corsi, et capelletti non devo restar di dire all’Eccellenze Vostre, acciò sapiano in tutte le parti, come passano le cose. Che pare, che li sudditi non restino così satisfatti di questa militia, come bisognarebbe, dicendo, che molti di loro si fanno ogni giorno più arditi, più disobedienti, et più morbidi di quello, che si possa comportare. Che hanno fatto le prattiche, et posto le radici in molti luoghi; che si accasano voluntieri; et che alcuno d’essi, mentre mostra d’andar in traccia de fuorusciti, molesta, danneggia, et riesce più infesto alli poveri contadini di quello, che le siano li fuorusciti medesimi. Che però stimando questo negotio degno di consideratione, perché vi sia posto qualche compenso, avanti che il disordine si faccia maggiore; sarà bene che siano dati ordeni, perché vengano cambiati spesso, et mandati non da Brescia, a Bergamo, ma da un capo all’altro del loro stato: come da Bergamo a Palma; et che i publici rappresentanti, che li haverano sotto di loro pongano ogni spirito per tenerli in freno, et obedienza perché, oltre l’aggravio de poveri sudditi, mi pare che vi sia anco grandemente della publica riputatione: che ogni fantacino, che milita il soldo di questa Serenissima Republica, si faccia immediate così ardito, che voglia vivere a modo suo, come se non conoscesse alcun superiore: dove sopportato più di quello, che si conviene, questo è causa, che gl’altri di qualche grado alzano maggiormente le corna, et sia detto con ogni riverenza, pare poi, che l’Eccellenze Vostre non possano liberamente commandare ad alcuno, che a me non tocca il dire d’avantaggio.

Dove concluderò con questo solo, che havendo elle conosciuto per isperienza il beneficio conseguito al presente da questa visita, gran fondamento per fermare la speranza di poterlo lungamente godere, sarebbe il deliberar al presente, che ogni doi, o tre anni fosse per l’avenire reiterata l’istessa visita: perché mentre che quei populi staranno in continua espettatione di essere di novo censurati, viveranno con continuo riguardo di non meritar nova censura: et se poi in capo alli due anni piacesse loro di non dover venire all’elettione, o missione di Proveditore, potrebbono andarlo differendo quanto comportasse il bisogno, che certo non ritornerà così presto, mentre che ogn’uno viva in questo concetto, che di punto in punto siano per uscire nuovi Proveditori, mentre siano essequiti gl’ordini dati, et mentre siano aggionti quelli di più, che saprano venire dall’infinita prudenza dell’Eccellenze Vostre.

Et così stabilita con questi mezi una quiete, et una tranquillità grande fra quei populi, ella sarà grandemente desiderata da ogn’uno: et quel bello, et florido paese si farà ogn’hora più ricco, più populado, et più abondante: et quanto rittenesse nascostamente di cattivo, l’andarà purgando risolvendo, et transmutando in altri: et quanto ne vicini fosse di buono, et desiderabile, l’andarà invitando, et attrahendo in se medesimo, che naturalmente il sangue più puro, corre sempre alla parte più sana, come li cattivi humori nella più debole, et più inferma. Che però confirmato il loro stato in una perfetta sanità, non admetterà in se stesso più niun cattivo humore: ma quelli, che vi nascessero, li anderà transmettendo in altri, et da quelli, ciò che nascesse di buono, anderà tirrando in se medesimo, con gloria, servitio, et satisfattione grande delle Eccellenze Vostre, et con altretanta riputatione, et merito di quelli illustrissimi Rettori, che di tempo vi saranno al governo.

Come al presente mi conosco obligato di testificarle, che tutti quelli, che in mio tempo si sono trovati a quei reggimenti, s’hanno acquistato questo merito, et questa riputatione. L’illustrissimo signor Zuane da Leze, che vi era Podestà al mio ingresso, ha non solo con la benignità della sua natura, con il suo splendore, et con la sua integrità acquistato gl’animi de quei grandi, ma con sontuosissime fabriche ancora illustrato grandemente quella città, et lasciato di se eterna memoria. L’illustrissimo signor Pietro Barbarigo, ch’è venuto in suo luogo, oltre le conditioni, et merito grande della sua persona, et della sua casa, il spirito con il quale egli s’è applicato a quell’importantissimo carico, et la diligenza, con la quale lo essercita, lo farà grandemente stimare. L’illustrissimo signor Antonio Lando, che vi è Capitanio, senator di grand’intelligenza, di gran prudenza, et di gran zelo del publico servitio, non lascia in se stesso, che desiderare, et vi è grandemente amato, et stimato.

In Bergamo, si ritrova Podestà l’illustrissimo Giulio Contarini, gentilhuomo di valore, di grande integrità, et diligente nel suo carico. L’illustrissimo signor Marco Dandolo vi è Capitanio, gentilhuomo di gran prudenza, et di valore, che con una nobilissima maniera di trattare, con un gran splendore, et con gran voluntà di ben servire la Serenità Vostra, si è acquistato gran riputatione, et è grandemente amato, et stimato da tutta quella città. In Crema vi è l’illustrissimo signor Francesco Zen, gentilhuomo, che di valore, d’intelligenza, et di sollecitudine in se non lascia, che desiderare, et quella città lo tiene sommamente caro. In Salò vi è l’illustrissimo signor Giovani Battista Loredan, che certo (bisogna dire il vero) si fa conoscere per valoroso, diligente, et prudentissimo gentilhuomo, che conosce la natura di quelli, che egli governa, et si fa grandemente stimare. Per mio segretario, oltre li altri fidelissimi ministri, ho havuto Ottavio Medici, giovane di così gran spirito, di tanta attitudine, et di così ardente voluntà di ben servire, che, sicome confesso d’haver ricevuto da lui un compitissimo servitio, così posso affermare alla Serenità Vostra, che avanzandosi egli sempre più con la isperienza, et con il tempo, sia per riuscire al sicuro de buoni, et valorosi segretarii, che habbia la sua cancellaria.

Di me, serenissimo Principe, illustrissimi et eccellentissimi Signori posso dir questo, che, se nella mia persona elle haveranno potuto desiderare maggior intelligenza, et maggior attitudine a questo carico, io non ho voluto certo, ch’elle habbiano a desiderare maggior ardore, et maggior fede nell’essecutione della loro voluntà. Ne vi son applicato con tutto lo spirito, et con tutt’il mio potere; non ho perdonato ad alcuna fattica; non ho fuggito alcun pericolo; non ho mirato ad alcun interesse per ben servirle: di pensare, et d’operare non ho cessato mai, volendo, che il mio riposo della notte, fosse il pensiero alle operationi del giorno; poiché non mi riusciva meno difficile il conoscere, che l’essequire ciò che conveniva al mio carico. Se queste mie operationi hanno partorito alcun frutto, lo riconoscano solamente dalla gratia del Signor Dio, che l’è piaciuto d’illuminarmi, per la protettione, che tiene di questa Serenissima Republica et de suoi fidelissimi sudditi: et se ho mancato in alcuna cosa, condonino il mancamento alla mia poca intelligenza, et alla debolezza delle mie forze; restando sicure, che in me non vive, ne viverà mai altro sentimento, altro affetto, ne altro desiderio, che del publico servitio. Dove egualmente mi sarà sempre caro di preservare, o di spendere la vita, mentre io conosca di poter spenderla, o conservarla in servitio, et beneficio della mia patria, della Serenità Vostra, et delle Signorie Vostre illustrissime et eccellentissime.

  1. La rabbia di Zanzanù

Serenissimo Prencipe

Alli XVII di questo mi furno mandate, dall’illustrissimo signor Capitano di Verona, le ducali della Serenità Vostra, di XI del medesimo, con le quali mi commette che io debbi inviare a Verona questi soldati corsi con quell’ordine che istimavo più opportuno. Tenendo aviso la Serenità Vostra , che sia cessata l’occorrenza per la quale essi soldati furno mandati qui, ho istimato debito mio far riverentemente sapere a Vostra Serenità, che a giorni passati, per ordine dell’eccellentissimo signor Generale Mocenigo, mandai a Sua Signoria eccellentissima, a Lonato, XXV di questi soldati, et altrettanti mi ritrovo havere per custodia di questa terra, quale è aperta, circondata da siti insidiosissimi ove con molta facilità si tratengono genti scelerati, et bandite, le quali ad ogni hora senza alcun impedimento potrano venire sino in palazzo quando la Serenità Vostra mi havrà levata la guardia. Né so con qual fondamento Lei sia stata avvisata che sia cessata l’occorrenza per la quale la mandò qui li soldati corsi, perché Zuane Zannone, con grosso numero de genti, fu nella terra di Gargnano et diede fuoco a tre case, et amacciò con sparo di arcobuso un pover huomo che colse uscire de casa per riparare al fuoco, che diede causa alle genti di svegliarsi, et per il suon di campana a martello li malfatori si levorno dall’impresa, e fu oviato al pericolo dell’incendio, del quale gli offesi interessati hanno a me depositato cechini trecento per taglia della testa di esso Zannone, con farmi istanza che io gli dassi un numero di questi soldati per guardia di quella terra et sicurezza delle loro vite. Vegga la Serenità Vostra se è cessata l’occorrenza de tenersi soldatescha. Ma se le dirò inoltre col dovuto riverente mio ossequio, che è impossibile che il Rettore possa starsi senza alcun numero de soldati, et inoltre più io nel risiduo di questo mio travagliosissimo reggimento, e se sarà mente di Vostra Serenità che subito che io rihaverò li soldati dall’eccellentissimo signor Mocenico, li invii con questi all’illustrissimo signor Capitano di Verona, la voglio riverentemente supplicare restar servita mandarmi un numero de cappelletti come anco havevo a prencipio in tempo de manco bisogno, avanti la mi mandasse li soldati corsi, perché io non saprei come essercitare questo caricho con dignità publicha, con sicurezza della mia persona per le esperienze passate da me vedute, quando io restassi affatto privo di militia; però starò attendendo quelli ordini che alla somma sua sapienza parerà. Gratie.

In Salò a XIX febraro 1611.

Giovan Battista Loredan Proveditor e Capitano.

Trascrizione a cura di Andrea Busato.

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