11.4 Francesco Filelfo (1587)

Condannato a scontare quindici anni nelle prigioni del Consiglio dei dieci Francesco Filelfo presentò nel corso della sua prigionia tre suppliche da cui emergono la sua disperazione e la volontà di porre fine alla sua stessa esistenza.

1587 a 7 de Agosto in Conseglio di dieci

Capi

Che attese le cose narrate nella supplicatione di Francesco Filelfo condennato coll’auttorità del Senato a stare per anni XV nelle pregioni delli Capi di questo Conseglio, overo nelle forte, sia esso Filelfo tramutato da esse prigioni et posto nelel forze dove habbia a stare il restante del tempo che li manca delli anni XV.

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Illustrissimi et Eccelentissimi Signori Capi dell’eccelso Conseglio di dieci

Sono già passati mesi 18 che io infelicissimo Francesco Filelfo mi ritrovo nel colmo di ogni miseria nelle carcere del suo Illustrissimo Conseglio, nelle quali se grave mi fu da principio d’entrare, tutto che io fossi posto in una di quelle che hanno qualche lume et delle men triste et desiderai perciò la morte, può considerarsi quello che che mi risulta l’essere stato alcuni mesi fa levato da dove era senza haver più demeritato et sepolto in oscurissime tenebre, quasi privandomi d’ogni aiuto esteriore et posso dire degli elementi, non potendo hora chi ha cura di me intender le mie necessità et sovenire alla mia persona, fatta inferma per i patimenti delle carcere, dopo haver 54 anni della mia vita fatto professione et fermamente sperato di viver lontano da ogni colpa; il che non è più tempo di trattar poiché l’eterna providenza ha permesso che la santa giustitia di questo Serenissimo Stato mi ha condannà, seben mi fa sentire che pena sia quella che si patisce senza haverla meritata, mi lascia nondimeno sperare che se ho io provato nell’offesa mia la giustitia, questa medesima nel mio infelice sollevamento non mi sia negata, o per meglio dire la gratia non affatto diversa da essa giustitia et questa è che dovendo io star ancora per tanti anni miseramente rinchiuso possa bastarmi al più la pregion forte, affine che se per la mia sentenza non fui giudicato degno di morte, non vegna per le sue nove provisioni intorno a pregioni condannati ad esser celerato il fine della mia vita, poiché hora provo acerbamente non dirò quella pena che mi fu assegnata, ma molto maggiore et assai lontana dalla sentenza et dalla prima essecutione di essa.

Questa gratia dunque, di che io supplico la Serenità Vostra et le Signorie Vostre Illustrissime et Eccelentissime, che non è la libertà come hanno havuto tutti gli altri condannati in galea et in carcere per la causa medesima, che sono condannato io, ma d’esser ridotto per clementia nella prigion forte, seben anche essa è imagine dell’istessa morte, adimandando io non come volontario servo di questa Serenissima Repubblica per tutti gli anni della mia vita virtuosamente passata in questa città, nella quale son stato notrito et allevato sotto messer Antonio Minio fisico mio zio, né per haver questa esposto nella Marca a manifesta perdita in difesa della pace da lei fatta con i Turchi, come da honoratissimi cavalieri publicamente è stato testificato, né in premio di un riccordo che io diedi nel principio della guerra turchesca, per il quale ha cavato et tuttavia cava quantità d’oro senza haverne io mai voluto alcun premio, tutto che fosse preso per questo illustrissimo Conseglio l’anno 1570, non di darmi una per cento, ma solo rifugio di non morire disperatamente per calamità, poiché portando io impresso qualche carattere sacerdotale et da ciò dependendo qualche sostanza mia, quando io continuassi in questo abisso di oscurità non mancarebbe, come fin qui di già mi manca per questa sola causa il modo di supplire alla necessità del vitto, facendosi lecito i miei rispondenti della Marca di negar hormai di rispondermi in quel poco che debitamente mi pertiene.

Et se queste mi ragioni poche, ma giuste troveranno luogo nella pietà di Vostre Signorie Eccelentissime, siano certe che il sollevamento che si degnassero concedermi sarà per brevissino tempo, poiché la mia vita già vicina al suo fine poco può durare. Et alle Vostre Signorie Eccelentissime humilmente mi raccomando.

A distanza di più di un anno Francesco Filelfo presentò una nuova supplica, chiedendo nuovamente di essere trasferito nella prigion forte. E questa volta il Consiglio dei dieci accolse la sua richiesta.

1588 a 22 di novembre
Capi

Che Francesco Filelfo carcerato sia tramutato della pregion delli Capi di questo Conseglio nella quale si ritrova et posto nella forte, dove habbia a finire il restante del tempo della sua condennatione.

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Illustrissimi Signori Capi dell’eccelso Conseglio di dieci

In essecutione della sentenza alternativa data dalli clarissimi rettori di Padova con auttorità dell’eccelentissimo Senato fui condotto da Padova et consegnato alli capitani delle prigioni forti et effettualmente messo nella prigion forte io Francesco Filelfo fedelissimo et infelicissimo servitore di Vostre Illustrissime Signorie; di dover poi, dopo tre giorni senza nessuna mia colpa, né vera, né immaginaria, fui levato et messo in queste prigioni, nelel quali per essermi prohibito il poter trattar le cose mie, io convegno morire di necessità et sono già tre anni che io vivo in questa miseria. Le supplico dunque con ogni riverenza et con ogni affeto magiore, che per giustitia et conforme alle leggi santissime di questa Repubblica Serenissima, le quali voglion che sentenza pronuntiata et eseguita non si debba per alcun magistrato alterare, si compiaciano di proponer all’eccelentissimo Conseglio di dieci che io sia ritornato nella forte, dove sono stato messo la prima volta, in essecutione della mia condanna. Et sebene questa mia domanda è domanda di giustitia et non mai negata ad alcuno, anzi concessa a tutti et ultimamente a Giovan battista Muzzan et a Livio Cellini da Cerreto, l’uno et l’altro dei quali sono condannati in vita in dette prigioni et io sono a tempo, tutta via io la riceverò per gratia spetialissima et pregarò devotamente la divina misericordia per la lunga et felice vita di Vostre Signorie Illustrissime et per la esaltatione et mantenimento di questo santissimo dominio, alla cui buona gratia humilmente et devotamente me inchino.

D. Vostre Signorie Illustrissime et Eccelentissime Servitore humilissimo Francesco Filelfo

Ma nel 1591 Francesco Filelfo presentò una nuova supplica ai Capi del Consiglio dei dieci.

1591 8 luglio in Consiglio di dieci
Capi

Che per le raggionevol cause espresse nella supplicatione hora letta di Francesco Filelfo, confinato per sententia delli rettori nostri di Padova di 3 gennaro 1585 in una delle preggioni delli Capi di questo Conseglio per anni quindeci continoui, sia data libertà alli Capi sudetti di poter far tramutar ersso Filelfo in una delle 12 preggioni forti, nella quale habbi a finire il restante del tempo della sua conedennatione, con tutte le conditioni espresse nella sua sententia.

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Illustrissimi Signori Capi dell’eccleso Conseglio di dieci

Se un povero afflitto da infiniti mali merita di trovar pietà nei petti religiosi di Vostre Signorie Illustrissime, io infelicissimo Francesco Filelfo che già sei anni continoui ho patito et tuttavia patisco la più aspra prigionia del mondo et quel che è peggio perseguitato anco in queste miserie con mille scelerate inventioni, vengo con questa humilmente a supplicarle che, poiché la lunghezza de miei travagli, i quali ogni giorno pigliano maggior forza, mi hanno ridotto a tale che havendomi consumata la robba et la vita non posso più resisterli se non con pregiudicio dell’anima mia, si voglino degnar per pietà di terminar tante mie miserie col farmi levar la vita et con una morte sola impor fine a tante altre che ogni giorno patisco et questa sarà graditissima pietà. Ma quando pure paresse alla christiana mente di Vostre Signorie Illustrissime che con lo spargimento del sangue non vi possa esser unita la pietà per le viscere di Nostro Signore le prego che per salute dell’anima mia, la quale per li noiosi pensieri della mente et per l’incurabili indispositioni del corpo ha da star pochissimo al mondo, si compiacciano di farmi metter nell’armamento da basso, la qual prigione è molto più forte et inhabitabile della forte, ma haverò questa consolatione almeno che in quella lacrimosa solitudine potrò libero dalle insidie e da quotidiani disgusti pensar alle offese fatte alla divina maestà et chiedendogli perdono ottenerne avanti il mio morire, che sarà prestissimo, la gloria del cielo. Et questa gratia che solo gli dimando per finir più presto questa odiosa vita, gli la chiedo con quel maggior affetto che io posso et per l’amor di Dio.

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